in questi giorni è stato presentato a Ginevra uno scioccante report della commissione per i diritti umani, Come ha fatto una nazione come il Brasile ad arrivare al governo Bolsonaro?
L’Alto Commissario ONU per I Diritti Umani Michelle Bachelet, nel suo report presentato a Ginevra, ha denunciato che nel primo semestre del 2019, solo a Rio de Janeiro e a San Paolo, sono state assassinate dalla polizia 1291 persone.
L’Apartheid è un serio problema che affligge tutti i paesi in via di sviluppo, del resto ogni forma di sviluppo economico, almeno nelle sue prime fasi, comporta una elevata disparità sociale, la quale, ancora nel 2019, viene soppressa fin troppo volte nel sangue.
Ciò detto è innegabile che, anche per un paese come il Brasile, 1291 vite stroncate dalle forze dell’ordine, sono un picco insostenibile. Questa impennata è chiaramente dovuto alle scelte intraprese dal governo di Jair Bolsonaro, il quale – in pieno stile sovranista – ha replicato agli attacchi della Commissaria ricordando che il padre della Blanchelet è stato un disertore di Pinochet (atto che gli è costato la tortura e la morte in carcere un anno dopo il golpe): “Se non fosse stato per Augusto Pinochet che ha sconfitto la sinistra nel 1973, incluso suo padre, oggi il Cile sarebbe come Cuba”.
A queste parole è subito seguita la presa di distanza da parte di Sebastian Pinera, attuale Primo Ministro cileno (anch’egli sovranista).
La peculiare storia del Brasile
Il Brasile, sebbene indipendente già dal 1822, è stato, per gran parte della sua storia, dipendente economicamente dalle potenze occidentali propriamente dette: il territorio, una volta distaccatosi dalla madrepatria portoghese, vide una forte crescita dei movimenti nazionalisti, che guidarono il paese, alla fine del diciannovesimo secolo, al suo più sanguinoso conflitto, ovvero la guerra contro il Paraguay.
La guerra si tradusse in una vittoria del Brasile e dei suoi alleati (Argentina e Uruguay), però, come sempre accade, le vittorie militari portano una miriade di conseguenze negative che vanno dal necessario assistenzialismo ai reduci fino al pagamento dei debiti contratti per finanziare le enormi spese belliche.
I brasiliani rispondono al malessere con le ideologie repubblicane, e infatti, a meno di vent’anni dal conflitto, nascerà la Repubblica Federale Brasiliana, e questa durerà fino al 1964, quando un colpo di stato militare instaurerà una dittatura fino al 1984, anno in cui, dopo diversi atti dimostrativi da parte del popolo, il presidente João Baptista de Oliveira Figueiredo “concederà” il ritorno alle elezioni democratiche.
Tancredo Neves, primo presidente della “Nuova Repubblica”, si trovò a fronteggiare fin da subito le grandi criticità di un paese demograficamente enorme ma estremamente povero (non in pochi sostengono che la “Nuova Repubblica” sia sorta non tanto perché i cittadini l’abbiano “ottenuta”, bensì perché i gerarchi militari che la governavano hanno abbandonato la barca).
La Nuova Repubblica
Un proverbio Maoista afferma che “una bocca in più da sfamare sono anche due braccia in più per lavorare” questo può essere vero in una società agricola, ma in una società industriale modello statunitense (ed è questo il modello che è stato imposto ai Latino-Americani) la disparità sociale non permette a quella “bocca e in più” di rafforzare le sue “braccia” e immetterle nel mercato del lavoro, e questo non fa altro che alimentare la disparità stessa, in un circolo vizioso che porta il nome di Apartheid. Ancor peggio poi è la situazione delle comuni agricole, e questo è un dato comune a tutto il Sud America.
Una bocca in più da sfamare è una bocca in più da sfamare, punto. E di ciò se ne era reso conto perfettamente il Luiz Inácio Lula da Silva. Che lungo il suo mandato ha messo in pratica tutta una serie di misure sociali volte a ridurre questa disparità. Il problema è che la riduzione della disparità non fa crescere il PIL (almeno così è stato in Brasile), e in un’economia globale come quella contemporanea vige la regola “no PIL no party”.
Ad ogni modo le statistiche del 2013 riportano un aumento dell’Indice di sviluppo umano del 36% rispetto al 1980. Tra il 2004 e il 2012, grazie alle politiche della presidenza Lula, la deforestazione amazzonica è diminuita da 27.700 km² all’anno a 4.500 km² all’anno.
E, sebbene i suoi successori, tra corruzione ed Impeachement vari, si siano impegnati molto a ridurre gli effetti benefici del suo operato, alla vigilia delle elezioni 2018 i sondaggi portavano il suo Partido dos Trabalhadores in testa.
Bolsonaro e il sovranismo
La storia è poi finita diversamente: ha vinto la destra (come non succedeva dal 1994), ha vinto Jair Messias Bolsonaro, primo militare ad essere eletto presidente dopo la dittatura. Più in generale ha vinto il sovranismo.
In Europa il sovranismo si prepara al suo anno nero: in Germania, alle elezioni regionali di Sassonia e Brandeburgo (le zone dove la destra tedesca ha più consensi) non c’è stato il boom sperato; in Inghilterra vengono registrate manifestazioni NO-Brexit; e in Italia è caduto il governo che vedeva la Lega fare la parte del leone.
Oltreoceano il quadro appare diverso: Trump, dopo un’iniziale abbandono delle sue posizioni più radicali, continua comunque ad applicare la sua politica contro gli immigrati e il governo brasiliano può permettersi di fare milleduecento morti in sei mesi.
Le future scelte di Bolsonaro potrebbero dunque essere l’ago della bilancia non solo per gli equilibri brasiliani, ma anche per quelli dell’intero Planisfero.
Fabio Cirillo