31 gennaio 1876: gli Stati Uniti ordinano ai Nativi di ritirarsi nelle riserve. Da quella data sono passati 145 anni eppure questo è un tema ancora poco conosciuto. Proviamo a raccontare qualcosa di loro anche attraverso la musica di un grande cantautore italiano, Fabrizio De Andrè.

Riserva. Genocidio. Sand Creek. Ricordo qualche tempo fa un cartellone pubblicitario dalla grafica molto semplice: vi era disegnato di profilo un uomo dalla pelle ambrata e dai tratti somatici tipici dei Nativi Americani. Portava in testa una sorta di copricapo e al collo una collana di pietre. Sul manifesto c’erano scritte poche parole: Loro hanno subito l’immigrazione, ora vivono nelle riserve. Tralasciando la profonda strumentalizzazione con cui si faceva riferimento alle popolazioni indigene americane o la questione politica, questa è la prima immagine che mi viene in mente quando sento la parola Nativi. Penso che sulla questione ci sia molta disinformazione e che quasi non si sappia a che cosa ci si riferisca quando si sentono nominare. Non tutti sono storici o appassionati ma ritengo che, anche per semplice cultura personale, sia importante avere qualche informazione a riguardo. Anzi, proprio perché non siamo tutti storici, oggi cercherò di raccontare una parte della loro storia invitandovi ad ascoltarla: Fiume Sand Creek.
Dopo 150 anni dal massacro di Sand Creek, il governo americano dedica una lapide ai caduti
La colonizzazione
1492 data della scoperta dell’America. Qualsiasi bambino o ragazzo in età scolare è in grado di dirvi esattamente di cosa si tratta. Ad essere sincera mi sembra quasi di riuscire ancora adesso qualche compagno che, ripendo a pappagallo la lezione, afferma: nel 1492, Cristoforo Colombo, dopo essere partito dal porto di Palos pochi mesi prima, cercando di raggiungere le Indie arrivò invece nel Nuovo Continente. Questa storia la sappiamo tutti ed è la storia del viaggio di Colombo: cercando una nuova via per le Indie infatti, quasi per errore è stata scoperta l’America. Da questo momento inizia l’età moderna. Da questo momento iniziarono le guerre coloniali tra le potenze più forti per accaparrarsi, metro dopo metro, il dominio sui nuovi territori. Per molti anni così l’America del Nord rimase legata economicamente all’Inghilterra e poi si rese indipendente. Queste cose le so dall’età 11 anni. Però c’è qualcosa che nessuno mi aveva raccontato e che forse non mi ero neanche chiesta: Chi c’era in America prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo?
I Nativi Americani
Indiani d’America e Pellerossa sono alcuni dei nomi con cui si fa riferimento alle popolazioni che vivevano in America prima dell’arrivo degli europei. Questi nomi, dati dal colore della loro pelle e dal fatto che in un primo momento Colombo era certo di essere arrivato nelle Indie, sono errati. Il nome adatto per definire queste popolazioni è Nativi Americani. Queste popolazioni, molto diverse tra loro, erano divise in tribù e soprattutto nel Sud e nel Centro America hanno dato origine a vere e proprie civiltà come quelle dei Maya e degli Aztechi. Nel Nord invece, rimasero popolazioni seminomadi che si spostavano a seconda delle stagioni: il clima infatti è più rigido rispetto al sud e per questo, probabilmente, non si sono mai sviluppate vere e proprie civiltà stabili. Queste popolazioni, sebbene al tempo fossero più arretrate rispetto a quelle europee da un punto di vista tecnico, avevano una struttura politica ben organizzata ed erano molto sviluppate anche da un punto di vista culturale.
L’arrivo degli invasori
L’arrivo delle popolazioni europee determinò la fine delle grandi civiltà precolombiane: purtroppo per loro c’era poco da competere con la polvere da sparo. Acciecati dalle ricchezze che poteva ricavare sfruttando i territori incontaminati del nuovo continente, gli invasori non si fecero scrupoli. Così i nuovi arrivati, considerando questi popoli inferiori, occuparono le loro terre, rubarono le loro ricchezze e li sterminarono. I pochi rimasti furono costretti a vivere nelle riserve, cioè territori che ai bianchi non interessavano a causa della loro infertilità e dell’esigua presenza di minerali nel sottosuolo. L’ordine definitivo fu dato proprio il 31 gennaio del 1876. Si stima che tra il 1492 e il 1890 sono stati uccisi tra i 70 e i 115 milioni di Nativi. Questo dato naturalmente comprende sia i morti a causa di guerre e battaglie, sia i morti a causa di malattie importate dagli invasori.
I Nativi non si arrendono
Seppur numericamente inferiori e in possesso di tecniche meno sviluppate rispetto a quelle europee, i Nativi non si arresero davanti agli invasori. In svantaggio dal punto di vista militare e tattico, le tribù combatterono valorosamente ma non si può parlare di vere e proprie battaglie, quanto più di massacri. Interi contingenti militari armati, contro uomini a cavallo con archi e frecce. Contro uomini il cui primo obiettivo era difendere le donne e i bambini delle loro tribù. Purtroppo oggi di loro ci rimane solo il ricordo ma finché ci sarà qualcuno disposto a raccontare la loro storia, la loro memoria non svanirà.
Fabrizio De Andrè
Qualcuno lo ricorda come un cantautore, qualcun altro come un poeta. Egli però nelle sue canzoni è riuscito a dare voce agli emarginati, a coloro che stavano ai bordi della società e a coloro di cui si conosceva poco, ma di cui si doveva conoscere. Il decimo album di De Andrè esce nel 1981 e Fiume Sand Creek è la terza canzone dell’album. Questo brano fa riferimento al massacro del 29 novembre 1864 quando una milizia inglese di 700 uomini attaccò una tribù di circa 600 nativi americani. Lo scontro si verificò nella località del fiume di Sand Creek, in Colorado, dove c’era un accampamento di Cheyenne Meridionali e Arapaho che avevano già stretto accordi con il governo statunitense. Al momento della rappresaglia gli uomini erano a caccia e solo in pochi erano rimasti a difendere l’accampamento: appena i Nativi si rendono conto di essere attaccati issano bandiera bianca, ma servì a poco. La “battaglia” si concretizzò infatti nello sterminio di donne e bambini, per un totale di quasi 200 vittime.
Fiume Sand Creek
De Andrè racconta la vicenda attraverso gli occhi di un bambino ma i riferimenti storici sono inequivocabili. La semplicità del linguaggio è accompagnata dal tema preponderante della natura, alla base della vita di queste popolazioni.
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura.
Fin dai primi due versi si racconta come la battaglia sia finita e, a partire dalla fine, si torna indietro a narrarne qualche momento.
Fu un generale di vent’anni
occhi turchini e giacca uguale:
Il nome del generale è Chivington (ma non tutti sono d’accordo con questa interpretazione),
che guidò l’intero attacco. Successivamente invece si racconta di come i nostri guerrieri fossero sulla pista del bisonte, cioè a caccia e quindi troppo lontani per proteggere il villaggio. Al bambino arriva alle orecchie nel pieno della notte, il rumore degli zoccoli dei cavalli al galoppo e delle urla e chiede al nonno se si tratti di un sogno. Il nonno disse sì. Il bambino crede alle parole del nonno: il sangue e le ferite appaiono solo come un sogno vivido, troppo vivido per essere vero. Anzi, il sangue non è sangue, sono solo stelle rosse. Ma non era un sogno e ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek. E per quel bambino è solo un sogno, i suoi amici dormono ora, ma noi non possiamo dimenticare che non è così