Il brano dell’artista pugliese recupera uno dei più noti episodi danteschi e lo riscrive secondo tutta un’altra ottica.
Quante volte si è ironizzato sul fatto che Dante abbia usato la sua magna opera, il suo grandioso poema per prendersi una rivincita su chi non gli stava troppo simpatico? Beh forse l’episodio più clamoroso in questo senso è quello che va in scena nel canto VIII, quando Dante letteralmente umilia un suo vecchio e acerrimo nemico: Filippo Argenti. Ci ha pensato Caparezza, settecento anni dopo, a riscrivere a modo suo la storia di quell’episodio, dando voce alla versione del dannato che si scaglia contro Dante. E alla fine lancia un monito che ha dell’inquietante per il poeta e per la letteratura in generale: “Cosa pensi tenga più a bada? Rima baciata o mazza chiodata?”
“Spirito maladetto”
Dante, nel canto VIII dell’Inferno, quando viene traghettato da Flegiàs verso le mura della città di Dite, riserva a malapena trenta versi alla presentazione degli Iracondi, i peccatori puniti nel quinto cerchio della voragine infernale. Dante e Virgilio, attraversando sulla barca del nocchiero la palude grigia e puzzolente, sono attirati da un dannato in particolare. Alla domanda di costui sull’identità di Dante, il poeta risponde in modo sdegnoso, mantenendo un’altezzosità sprezzante per tutta la durata dell’episodio: “S’i’ vegno non rimango; ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?“. “Io passo di qui ma non mi fermo” dice Dante, e probabilmente il sottotesto di questa risposta è: “Alla fine chi l’ha avuta vinta?” detto quasi con tono infantile.
L’anima preferisce tacere la sua identità, ma Dante già lo ha riconosciuto: quello che appella come “spirito maladetto” è Filippo Cavicciuoli, della consorteria degli Adimari, detto “Argenti” perché pare avesse fatto ferrare il suo cavallo con zoccoli d’argento. Un personaggio inviso a Dante e dal quale questo sentimento di antipatia era ricambiato in pieno. I due non si potevano vedere. Guelfo di parte nera (Dante era della fazione bianca), Filippo Argenti era in continua inimicizia con il sommo poeta per molte questioni, tanto che si narra di un leggendario schiaffo che il dannato diede al suo avversario in pubblico, davanti a tutta Firenze. E si legge tra i primi commentatori della Commedia, che durante l’esilio di Dante una buona parte dei beni confiscati alla famiglia Alighieri fossero andati al fratello di Filippo Argenti, Boccaccino.
Inevitabile che Dante provasse astio nei confronti di Filippo Argenti e, grazie al suo poema, ha potuto prendersi una speciale vendetta. Il modo in cui tratta Filippo Argenti è davvero umiliante e i critici hanno sottolineato che un accanimento tale nei confronti di un dannato è raro da vedere all’interno di tutte le tre cantiche. Così come è decisamente sproporzionata la glorificazione che Virgilio fa dello sdegno provato dal suo fido seguace nei confronti di quell’anima.
[…] Alma sdegnosa,
benedetta colei ch’in te s’incinse!
Infondo Dante ha solo parlato con disprezzo a un dannato, ma la sua azione viene caricata dal suo maestro di un significato di redenzione di portata universale. E più tardi, quando Dante esprime il suo ardente desiderio di veder sprofondare il suo nemico nel fango, Virgilio accentua ancora:
[…] Tu sarai sazio;
di tal disio convien che tu goda.
E subito dopo tutti gli altri dannati della palude si scagliano sull’anima e ne fanno strazio, urlando a squarciagola il suo nome: “A Filippo Argenti!“. L’anima scompare, sepolta dal fango e dalle sfuriate degli altri iracondi. Dante ha vinto, ha ottenuto la sua personale vendetta mischiandola ad una giustizia universale. D’altronde, nella Commedia, giustizia e vendetta risultano spesso sinonimi, quando si parla di giudizio divino. E Dante sa che Dio è dalla sua parte, perciò lo sfrutta a suo vantaggio.
Ma lo sdegno di Dante non si esaurisce ancora e lo si può rintracciare anche nella frettolosità con qui liquida per sempre questo personaggio: “Quivi li lasciammo, che più non ne narro“. Filippo Argenti ha avuto quello che si meritava, adesso il poeta prosegue nel cammino verso Dio e lui annega nel fango infernale. Questione chiusa.
“Ciao Dante, ti ricordi di me?”
No invece, la questione non è affatto chiusa. Dopo sette secoli di silenzio, Filippo Argenti ha avuto la sua parziale rivincita. Un pugliese di nome Michele Salvemini (in arte Caparezza) si è inserito nella disputa tra questi due fiorentini e ha riaperto i giochi. Con la canzone “Argenti vive“, contenuta nell’album Museica, Caparezza ha stravolto le carte in tavola, prendendo le parti dell’anima dannata e riscrivendo l’episodio dell’incontro con Dante.
Dopo un inizio in cui Caparezza riprende prosasticamente la narrazione degli eventi fatta in terzine, la canzone parte nel momento in cui, all’improvviso, il cantante urla “A Filippo Argenti!”, come avevano fatto le anime degli iracondi nel sommergere il dannato fiorentino. Da lì riparte Caparezza, dal punto in cui Dante, nel suo poema, consacra definitivamente la sua vittoria. E parte scrivendo tutto ciò che una personalità scontrosa, irascibile e certamente violenta avrebbe detto a Dante:
Ciao Dante, ti ricordi di me?
Sono Filippo Argenti
il vicino di casa che tu ponesti tra questi violenti.
Sono quello che annega nel fango
pestato dai demoni intorno
cos’è vuoi provocarmi sommo?
Puoi solo provocarmi il sonno!
Troppo facile per Dante parlare a posteriori, troppo facile in un poema che ha scritto lui consacrare se stesso come vincitore e come prescelto da Dio (“Attaccare me non ti redime, eri tu che davi direttive“). Anche l’Argenti di Caparezza certamente è un violento, un uomo che usa la forza e non riesce a contenere la sua rabbia. Questo il cantante non vuole negarlo. Ma di certo l’anima dannata non ha paura del confronto diretto con Dante, che dal canto suo si rifugia sulla barca, con la protezione di Virgilio, la benedizione di Dio e le terzine come unica arma per affrontare il rivale. Le rime del poeta sono “carta straccia” per Filippo Argenti, che non viene per nulla scalfito dalle parole dell’avversario. Le “cinquine sulla tua faccia“, lo schiaffo leggendario che egli ha rifilato a Dante, quello sì che fa male ed è efficace.
Il Filippo Argenti di Caparezza provoca Dante, lo invita ad affrontarlo “con le mani”, sicuro che il poeta non potrà uscirne illeso. L’unica arma a disposizione di Dante sono le parole, ma quelle non valgono niente in confronto all’uso della forza bruta e della violenza. Quella di Caparezza, naturalmente, non è un’apologia alla violenza, ma una riscrittura di un episodio da un altro punto di vista rispetto a quello ordinario e conosciuto. Argenti parla da uomo violento, convinto che la poesia e la letteratura non possano nulla contro chi incute timore con rabbia, ferocia e tracotanza.
Devi combattere ma te la dai a gambe levate
ma quale vate? Vattene!
Ehi, quando vuoi, dimmi dimmi dove!
Sono dannato ma te le do di santa ragione!
Così impari a rimare male di me
io non ti maledirei, ti farei male Alighieri!
Dante, per Filippo Argenti, è un debole che ha avuto il coraggio di affrontarlo solo una volta che l’avversario era già morto, con il solo uso delle inermi parole e che ha cercato di plasmare una memoria sbagliata del dannato. Con Caparezza, invece, Filippo Argenti diventa il signore del suo girone infernale, pronto ad affrontare vis a vis Dante senza paura; pronto anche a impedire che la sua memoria venga cancellata e infangata, perché è sicuro che, un giorno, l’arte porterà il suo nome. In che senso? Sarà lui ad avere la meglio sul suo rivale, perché Filippo Argenti sa che nel mondo, alla gente, piacciono le persone forti e feroci. O comunque, se non piacciono, almeno sono temute, sicuramente più dei poeti. Infatti, conclude Argenti, “il mondo non è dei poeti, il mondo è di noi prepotenti“.
Rima baciata o mazza chiodata?
Ovviamente anche nella narrazione del rapper Filippo Argenti finirà per essere sconfitto, lasciato sommergere dal fango. Quello che interessa davvero è cambiare la narrazione di mezzo e vale la pena considerare anche un concetto ricorrente nei versi della canzone, ossia il rapporto tra i poeti e la letteratura rispetto ai violenti che fanno uso della forza.
La tesi di Filippo Argenti, lo abbiamo già visto, è quella che nessun poeta potrà mai avere la meglio su qualcuno che può avvalersi della brutalità e della violenza per soggiogare gli altri. Nessuna rima, nessuna tenzone, nessun poema può incutere timore alla pari di una mazza chiodata. La lotta è nettamente impari. C’è una derisione implicita dietro a tutto questo, diretta a quei poeti come Dante che, con la loro opera letteraria, si impegnano molto attivamente nella vita civile, politica e sociale della loro città o del loro stato o della loro epoca. Perché di fronte al potere governato dalla violenza, di fronte alla prepotenza e alle armi, la cultura e la letteratura finiscono per soccombere ed essere messe a tacere.
Per questo Filippo Argenti può dare sfogo alla sua ira con così tanta tracotanza, in quanto Dante ha avuto la meglio solo perché lui non poteva aggredirlo. Tra i due non avrebbero vinto le terzine dantesche ma gli schiaffi dell’Argenti. E questo può anche essere uno spiraglio, accennato e lasciato aperto da Caparezza: la cultura che ruolo può avere in un contesto sociale e civile? Regge il confronto con la violenza? Filippo Argenti risponde di no.
Infatti, sul finire della canzone, l’iracondo profetizza che, in futuro, le giovani menti la penseranno come lui e l’arte porterà il suo nome: la violenza avrà vinto sulle “stupide belle parole“. Un monito oscuro che riassume anche tante pagine difficili della storia dell’umanità e della letteratura, quella soggiogata e costretta ad asservirsi interamente ad un potere. Perché Argenti non è morto: Argenti vive, come dice il titolo della canzone. E vivrà ancora, aggiunge l’anima dannata nel suo discorso pieno d’odio.
E poi Caparezza lancia a Dante pure una minima provocazione. Il poeta infatti ha lasciato che Virgilio scacciasse Filippo Argenti con un calcio, dicendo di poter essere appagato solo dopo aver visto il dannato sommerso. Allora, punzecchia Caparezza, “Persino tu che mi anneghi a furia di calci sui denti, ti chiami Dante Alighieri, ma somigli negli atteggiamenti a Filippo Argenti!”. Forse che Dante, sotto sotto, assomigli un po’ a Filippo Argenti?
Ma poi tutto viene messo a tacere. Anche nella canzone Filippo Argenti viene sommerso dal fango e Dante, anche nella canzone, può riprendere il suo viaggio. L’ha avuta vinta di nuovo, ma stavolta con un bello spavento. E proprio per questo, come ha effettivamente fatto nel canto VIII, meglio non narrarne più e proseguire dritto.
Finalmente un bell’articolo portar avanti dall’inizio alla fine in maniera coerente e completa. È inquietante al punto di far porre domande