Al di là del limite degli occhi tuoi: Lucio Battisti canta Orfeo ed Euridice

La veste dei fantasmi del passato / cadendo lascia il quadro immacolato / e s’alza un vento tiepido d’amore / di vero amore / e riscopro te

Orfeo ed Euridice

La mitologia greca è colma di miti sulla disobbedienza. A un’imposizione oppure ad un divieto fermo e perentorio dettato dalla divinità, segue una reazione uguale e contraria da parte di un personaggio che, in questo modo, diventa l’exemplum di qualcosa, di un valore, di una lotta per cui è valsa la pena contravvenire a quella regola. Tanto che a diventare mito è colui che ha disobbedito ed è stato punito. Allo stesso modo, Lucio Battisti ci esorta a respirare liberi in un modo che prigioniero è.

Orfeo ed Euridice

Orfeo (traducibile come oscurità o senza padre) era un poeta e cantore figlio del dio Apollo, la divinità della luce, della poesia e della medicina. La moglie di Orfeo, Euridice (traducibile come profonda giustizia), che il cantore amava con tutto se stesso, viene morsa da un serpente e muore, proprio il giorno del loro matrimonio. Distrutto dal dolore, Orfeo, le cui parole e musica erano in grado di commuovere commuovere chiunque, decide di discendere nell’Ade, dove risiedono i morti, per incontrare Ade, il dio degli inferi, e convincerlo a lasciar tornare la sua amata nel regno dei vivi. Ma perché Euridice è stata morsa proprio da un serpente? Cosa ricorda il serpente? I serpenti sono il simbolo della conoscenza o della saggezza, ma non in accezione positiva, come siamo abituati a comprenderla. Chi è Euridice in fin dei conti? Sua moglie? Su un piano più profondo, Euridice rappresenta l’anima di Orfeo, è l’anima della sua identità maschile. Cosi Orfeo, dopo aver trovato l’entrata dell’Ade, inizia la sua lunga discesa e lo fa per liberare la propria anima. Sulla via affronta molte difficoltà e supera ogni pericolo, servendosi della poesia e del canto. Si spinge più in profondità di qualsiasi altro eroe greco, incluso Eracle, pertanto il potere della musica e della poesia si dimostra superiore a tutte le armi fisiche e alla straordinaria forza degli eroi convenzionali. Quando Orfeo suona la lira i tormenti dell’Ade si placano, persino i dannati smettono di agire insensatamente e la loro razionalità inizia a emergere. Questo è il potere della bellezza. Tutto torna a vivere, poiché la musica celeste della sua lira riconnette ogni cosa alla propria origine divina, e dunque viva. Alla fine riesce a raggiungere la sala del trono dell’inferno e si erge in piedi di fronte ad Ade, il re, e a Persefone, la regina. Ascoltando la musica di Orfeo, Ade versa una lacrima (una lacrima nera come il catrame), un evento unico nella mitologia greca. La musica commuove persino i morti, e, come ricompensa, Ade accetta di permettere a Euridice di tornare nel regno dei vivi. Sebbene la realtà e la conoscenza abbiano ucciso la sua anima, l’immaginazione di Orfeo, manifestata attraverso il canto e la musica, è emersa, permettendogli di trovare un accordo con la stessa morte, affinché possa fare ritorno, con la sua anima rinnovata. Ma Ade ha una condizione da porre: che Euridice segua Orfeo nell’ascesa, e l’eroe non si volti mai a guardarla prima di aver raggiunto la luce. Orfeo accetta e si appresta sulla via del ritorno. Adesso ha la promessa di Euridice, ma affinché divenga realtà deve innanzitutto credere alla parola della divinità: la sua amata lo sta realmente seguendo, o scoprirà di essere stato ingannato dopo aver raggiunto la superficie? Inoltre non deve voltarsi a guardare l’anima direttamente nell’irreale mondo dell’Ade. Si dice irreale perché è cosi che la morte appare all’uomo vivo, come del resto lo stesso inferno, sebbene in un certo senso l’inferno (l’Ade) sia più reale del mondo in cui vivono gli esseri umani. Il mondo in cui viviamo, infatti, cambia e muore continuamente, non siamo altro che erba che fiorisce e se ne va. L’Ade è diverso, per via della sua natura eterna. Lì le persone sono quello che sono diventate e lo saranno eternamente. Tuttavia, poco prima di raggiungere la superficie ed entrare nella luce, Orfeo si volta e guarda indietro. Sembra però che in questo caso non sia tanto il voltarsi indietro il problema, ma quello che implica il voltarsi indietro: vedere direttamente Euridice, si tratta dell’atto del vedere. Considerare la persona come un oggetto da guardare (e quindi oggettivare) significa trasformarla in un oggetto, un fatto, un frammento della conoscenza, esattamente la stessa cosa che aveva causato la morte di Euridice, tramite il serpente, all’inizio del mito. Oggettivare è antitetico alla legge dell’amore. Quando si considera un’altra persona come un soggetto, al pari di se stessi, con una volontà e una coscienza, allora non la si sta manipolando o degradando, né presupponendo che la sua realtà non sia altro che un’estensione della propria. Si tratta di una mancanza che si pone in contrapposizione con il presupposto della sua missione, entrare nell’Ade per salvare Euridice, per l’amore per la sua stessa anima.

Orfeo ed Euridice
Poussin, Paesaggio con Orfeo ed Euridice

Il significato del mito

Questo mito rivela una profonda verità: l’uomo è alla perenne ricerca dell’essenza della propria anima. Dopo essere tornato in superficie senza Euridice è solo questione di tempo prima che Orfeo venga ucciso, fatto a pezzi, e smembrato dalle donne trace, perché non avrebbero potuto accettare, nella loro ottica edonistica, che un essere umano potesse piangere la morte della propria vita, della propria anima, e preferirla eternamente ad un edonismo superficiale. Questa ultima parte del mito è probabilmente un riferimento alla perpetua relazione tra spiritualismo e materialismo. In ogni caso, senza l’anima, intesa come essenza, il corpo muore. Nonostante il mito sembri non avere un finale felice, lascia una sensazione di nobiltà, destino, grandiosità e verità. Qual è la canzone che bisogna cantare per agevolare la discesa? Dovrebbe essere l’oggetto della ricerca. Finché non la troviamo, il mito di Orfeo suggerisce che potremo vivere, ma a malapena.

Orfeo ed Euridice
De Chirico, Orfeo solitario

Il canto libero di Lucio

Il fatto che ancora oggi ascoltiamo e apprezziamo Lucio Battisti, rende appena l’idea dell’affetto e della devozione che ancora proviamo nei confronti di uno dei più grandi artisti della storia della musica leggera, autore e interprete di numerose e indimenticabili canzoni, vere e propri frammenti di poesia. Da ben ventun anni, siamo diventati tutti orfani di bellezza, creatività, amore. A suo modo e con la sua musica, ci ha insegnato ad essere liberi, a non aver paura di esprimere le emozioni più profonde, ad andare controcorrente se è il cuore a chiederlo, ad entusiasmarci e a stupirci della bellezza delle piccole cose, come bambini. Nella miriade di brani che compongono la sua nutrita e inimitabile produzione musicale, un inno alla libertà tanto predicata è costituito da Il mio canto libero, un pezzo datato 1972. Canto e libertà. E l’immensità si apre intorno a noi, al di là del limite degli occhi tuoi…, cantava (e canta, ancora) Battisti accompagnato da una chitarra classica. Un canto libero che celebra l’amore assoluto, non solo passionale, ma anche come esaltazione dell’animo umano. Un sentimento che nutre d’orgoglio i due amanti, che li erge con la forza di un gigante e li porta lontano da invidie, gelosie, ostacoli e ossessioni. Distante mille anni luce da un mondo che prigioniero è, dunque falso e ingiusto, che soffoca i pensieri più puri e primordiali. Lucio, dopo battaglie e ferite interiori, si riscopre finalmente libero di volare insieme alla sua dolce compagna, per superare i fantasmi del passato, le lacrime che un amore criticato e mal visto come il loro ha fatto sgorgare troppe volte dai loro occhi. Un volo per respirare liberi, per scoprire un mondo nuovo, fatto di boschi abbandonati e perciò sopravvissuti e di pietre un giorno, case riscoperte, rose selvatiche. Il testo è ricco di figure allegoriche che, con un gioco di note e parole, alimentano l’immaginazione e fanno crescere l’emozione in chi le ascolta.
Il mio canto libero risuona oggi più di ieri, per contrapposizione, ne abbiamo ancora più bisogno. Vecchie e nuove generazioni, spesso divise per gusti musicali e bisogni affettivi, si ricongiungono in un unico abbraccio musicale per rendere omaggio all’arte, viva, feconda, immortale. Come il suo ricordo e la sua musica eterna.

Orfeo ed Euridice
Lucio Battisti (Poggio Bustone, 5 marzo 1943 – Milano, 9 settembre 1998)

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