Un album, un modo di fare musica, una rivoluzione: questo e molto altro è stato, è, e sarà per sempre “The Wall”.
A 40 anni di distanza dal luogo del misfatto, le melodie di Roger Waters e compagni continuano ad accompagnarci e ad essere perfettamente attuali grazie alla forza struggente dei temi che pervadono uno dei più grandi concept album della storia della musica.
Quando comunicare diventa impossibile: il mito di Cassandra
Il tema che mi sono proposto di trattare in questo articolo non ha epoca data la sua penetrante presenza nella vita di ogni individuo, in qualsiasi momento storico sia vissuto. La comunicazione, e al contempo l’incomunicabilità che spesso accompagna i rapporti umani, furono già oggetto di una delle storie più celebri della mitologia greca: il mito di Cassandra. Esso narra di una giovane fanciulla, Cassandra appunto, figlia del re di Troia Priamo, che, data la sua bellezza, fece innamorare di lei addirittura il dio Apollo. Quest’ultimo, per conquistare l’amore di Cassandra, le diede in dono il potere di predire il futuro ma la giovane, respingendo ancora una volta l’amore del dio, fu condannata da Apollo a non essere più creduta da nessuno per il resto della sua vita. È da qui che traggono il via le vicende tragiche di Cassandra la quale, pur avendo la possibilità di prevedere gli eventi futuri, non sarebbe più stata creduta da nessuno perché considerata un’infima incantatrice imbrogliona. Ecco che alla nascita del fratello, Paride, Cassandra predisse il suo ruolo di distruttore della città, profezia non creduta da Priamo ed Ecuba e che permise a Paride di salvarsi. Ecco che, una volta che Paride divenne adulto e partì per raggiungere Sparta venne predetto dalla fanciulla il rapimento di Elena e la successiva caduta di Troia. Anche in questo caso, naturalmente, non venne creduta. Addirittura quando il cavallo di legno venne introdotto a Troia, Cassandra rivelò a tutti i suoi concittadini che al suo interno vi erano soldati greci, ma anche in questo caso rimase inascoltata ad eccezione che da Laocoonte, che per questo motivo venne fatto uccidere dalla dea Atena, favorevole ai Greci, per mano di due serpenti marini. Se i Troiani avessero prestato ascolto a Cassandra la loro città non sarebbe stata conquistata e rasa al suolo, le sue mura non sarebbero state abbattute dalle fiamme, Priamo non sarebbe stato ucciso da Neottolemo. Ed invece fu proprio quello che avvenne e la stessa Cassandra, una volta terminata la guerra, fu presa come ostaggio da Agamennone e portata a Micene. Anche in questo caso, una volta giunta nella città greca, profetizzò all’Atride la sua rovina, ma quest’ultimo non volle credere alle sue parole, cadendo così nella congiura organizzata contro di lui dalla moglie Clitemnestra e da Egisto, nella quale morì la stessa Cassandra. A cosa possono essere utili un sapere e una conoscenza, anche universali, se il sapere di pochi resta inascoltato da parte di tutti gli altri? A cosa è stato utile a Cassandra il suo potere in mancanza di un interlocutore volto al dialogo? Certo, quella di Cassandra è solo una storia mitica contenente tanti elementi irreali, ma allo stesso tempo ci dà il là per una riflessione molto più ampia: ogni aspetto della vita umana, se non accompagnato dalla possibilità da parte di un essere umano di comunicare con un suo simile, perde ogni valore e consistenza. Vediamo perché.
Incomunicabilità e solitudine nei romanzi di Luigi Pirandello
Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre, chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sè, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!
Sono queste parole di Luigi Pirandello tratte dal suo dramma più celebre, Sei personaggi in cerca d’autore, in cui il romanziere e drammaturgo siciliano affronta il delicatissimo tema dell’incomunicabilità nei rapporti umani e della solitudine che caratterizza la vita dell’uomo. Il tema è centrale anche in un altro romanzo molto famoso di Pirandello, Uno nessuno e centomila, che ha per protagonista il celeberrimo Vitangelo Moscarda. Quest’ultimo un giorno, dopo essersi accorto di una strana deformazione del suo naso, è vittima di una profonda crisi esistenziale che lo porta a scoprire che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso e dunque di non essere “uno”, come aveva creduto sino a quel momento, ma “centomila” nel riflesso delle prospettive degli altri e, in ultima istanza, “nessuno”. È da qui che prendono il via tutta una serie di azioni, alcune davvero folli, che Vitangelo compie per liberarsi di quelle centomila personalità che gli attribuisce ogni individuo che lo guarda dall’esterno e con il fine di diventare “uno per tutti”: regala la casa ad un vagabondo, vende la banca che gli era stata affidata dal padre, addirittura alla fine giunge a cedere tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, dove lui stesso si fa ricoverare estraniandosi totalmente dalla vita sociale. È solo qui che Vitangelo riesce a trovare una certa stabilità, nella rinuncia definitiva di ogni identità e nell’abbandono al semplice fluire della vita, riconoscendosi ogni volta in una forma diversa data la presa di coscienza che un’identità unica non può esistere. L’estrema incomunicabilità che pervade la vita di Vitangelo Moscardo è da considerarsi in relazione al relativismo e al soggettivismo conoscitivo che pervadono il pensiero pirandelliano. Secondo il romanziere siciliano, infatti, la realtà che ci circonda è in perpetuo divenire, non è possibile fermarla, bloccarla in forme fisse perché ognuno la osserva in maniera diversa e non esiste un punto di vista privilegiato da cui osservarla. La realtà esterna cede il posto alla realtà interna di ogni individuo che, proprio per il suo aspetto interiore, può assumere molteplici forme a seconda dell’individuo che si pone di fronte ad essa e delle sue categorie mentali. Da ciò deriva con forte continuità la riflessione sull’incomunicabilità umana: gli esseri umani non possono intendersi perché ciascuno fa riferimento alla sua realtà soggettiva, senza poter sapere quale sia la realtà altrui e dunque proietta nelle parole che pronuncia il suo mondo soggettivo, che gli altri non possono indovinare. È una visione a dir poco tragica, che va di pari passo allo stato di solitudine nel quale ognuno di noi è costretto a trovarsi in questa vita, in cui giungiamo ad innalzare muri che ci separano dai nostri simili.
Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto.”
All in all it was just… another brick in the wall!
Il muro… c’è quello che ha diviso a metà una città per ben 28 anni, quello che nella bella Gerusalemme rappresenta il luogo sacro per eccellenza per tutti gli Ebrei… e poi esiste il muto tra i ricchi e i poveri, tra i persecutori e i perseguitati, tra chi conosce e chi è condannato all’ignoranza. Correva l’anno 1979 e nel mese di Novembre i Pink Floyd, una delle band che stavano facendo e avrebbero ancora fatto a lungo la storia della musica, pubblicò un concept album il cui protagonista non era una persona in carne ed ossa ma un muro di pietra che li avrebbe condannati alla fama imperitura. In questo doppio album formato da ben ventisei brani, il tema dell’incomunicabilità è affrontato tramite la storia di Pink, rockstar segnata da avvenimenti tragici come la morte del padre quando era ancora in fasce, dalla scuola disumanizzante, da una madre iperprotettiva, dagli eccessi della droga, dal divorzio. Tutti questi elementi lo portano a costruirsi attorno a sé un muro, di cui tutti questi elementi ne rappresentano un pezzetto e che alla fine diventa una vera e propria muraglia. Si isola così completamente dal mondo esterno e questo lo rende solo, ma anche folle, cosa che si avverte dalle urla di rabbia che straziano The Thin Ice ma anche nelle ballate più delicate come Nobody home. L’incomunicabilità spazza via ogni possibilità di rapporto cercato da Pink e dato questo continuo fallimento esistenziale cerca nel muro un’ancora di salvezza che però non fa altro che gettarlo ancor di più nel baratro riducendolo in una solitudine dalla quale tenta di uscire ma senza alcun effetto (Is there anybody out there?), il tutto mentre è preda dei suoi produttori che lo salvano da un overdose solo per sbatterlo sul palco come cavia dei loro guadagni, come emerge in Comfortably Numb. È una riflessione totalizzante quella che compie Waters in questo album: si parla di massificazione giovanile, di perdita di identità, di muri reali o fittizi che le le persone creano con i propri simili, di droga, di rapporti familiari, il tutto tra assoli di chitarra che possono senza alcuna obiezione essere considerati tra i migliori della storia della musica. Risentendo a distanza di quaranta anni un album come “The Wall” si prende piena consapevolezza del fatto che un gruppo come i Pink Floyd, anche per chi non li ha vissuti in prima persona, manca e questa mancanza è davvero lacerante. Ciò che possiamo fare a distanza di così tanto tempo è solo reimmergerci nel loro mondo, rivivere quelle canzoni con la stessa passione di chi le sasoltava a quell’epoca e farci travolgere dalle stesse emozioni. Quindi grazie Pink Floyd per aver fatto e per riuscire ancora oggi a far rivivere quel “diamante pazzo” che è in ognuno di noi.