“When They See Us” ci mostra come funzionano i processi penali

Una delle serie Netflix che ha più scosso le coscienze: When they see us non la si scorda in fretta, anzi.

Ci sono storie che hanno cambiato il mondo, nel loro piccolo. Alcune di queste sono ricordate e celebrate, mentre la maggior parte viene lentamente dimenticata, fino a cadere nell’oblio collettivo. Questo poteva essere il destino della storia dietro al caso della jogger di Central Park, accaduto nel 1989 a New York. Un caso di malapolizia, di razzismo istituzionalizzato, di pregiudizi e di stereotipi, quello che ha dato le mosse ai movimenti popolari contro gli errori giudiziari. Un caso così interessante e importante da essere ripreso anche da Netflix, nel 2019, con una serie tv: When They See Us.

Il caso della jogger di Central Park

Sono le 9 di sera del 19 aprile 1989. New York City, Central Park. La ventottenne Trisha Meili si reca nella zona nord del parco urbano per fare jogging, sua abitudine da anni. Qui iniziano le ombre. A un orario imprecisato tra le nove e le dieci di sera viene buttata per terra, inseguita, trascinata per 90 metri, aggredita, stuprata e malmenata. Viene ritrovata circa quattro ore dopo nuda, imbavagliata e sporca di sangue e fango. Trasportata subito in ospedale, la sua prognosi è disperata, tanto che le si dà l’estrema unzione. Rimane in coma per dodici giorni. Dopo mesi di cure, operazioni e riabilitazioni, torna ad avere una vita praticamente autonoma, ma si porta con sé disabilità permanenti al senso dell’equilibrio e alla vista. E’ una miracolata. L’evento scuote parecchio l’opinione pubblica, dato che quel 19 aprile, oltre al massacro di Trisha, Central Park è stato luogo anche di rapine e di altre condotte sgradevoli.

“When They See Us”

Netflix decide di prendere il caso giuridico e mediatico creatosi in America nel 1989 per fare una serie tv di tutto rispetto. Infatti, subito dopo l’attacco di Trisha, Raymond Santana, ispanico, e Kevin Richardson, afroamericano, vengono arrestati dalla polizia a nord di Central Park. Antron McCray, Yusef Salaam e Korey Wise, tutti afroamericani, vengono interrogati qualche giorno dopo a causa di testimonianze di presenti al parco, che li incastrano come protagonisti di alcune aggressioni avvenute quel 19 aprile. Tutti i ragazzi sono minorenni, tranne uno, ma i loro nomi vengono comunque resi pubblici dai media. I cinque rilasciano dichiarazioni alla polizia praticamente senza la presenza di un tutore e sono sottoposti a interrogatori non in regola. Gli inquirenti usano contraddittori e prove false per farli confessare, tanto che i ragazzi finiscono per incolparsi a vicenda.

Il processo

Gli stessi ragazzi ammettono di aver subito un trattamento inappropriato da parte delle forze dell’ordine, tanto da essere anche picchiati da queste. Inoltre, l’accusa che li vede come stupratori, aggressori e tentati killer è basata solamente sulle dichiarazioni non conformi estorte ai cinque. Il test del DNA sulla vittima rivela un solo profilo genetico e non corrisponde a nessuno dei ragazzi. Due processi, entrambi del 1990, condannano tutti e cinque i giovani con varie accuse riguardo a stupro, tentato omicidio e aggressione, ma questi non convincono per niente: le proteste di popolo si fanno sentire. Fino al 2002, quando lo stupratore e omicida Martin Reyes, già condannato all’ergastolo, confessa di essere stato lui il colpevole del caso della jogger. Quattro ragazzi su cinque, però, avevano già finito di scontare la propria pena. Vengono risarciti dallo Stato per reclusione indebita e vengono cancellati dalla lista dei criminali sessuali di New York.

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