Watson: l’intelligenza artificiale che rivoluziona il video making. Si tratta di arte?

Debutta a Wimbledon il nuovo prodotto di IBM, Watson, in grado di creare autonomamente un filmato di highlights di qualsivoglia incontro partendo dall’analisi di innumerevoli fattori. Ci troviamo ancora una volta di fronte ad un progresso che fa paura?

Il debutto del regista

Già l’anno scorso, quando tutto il mondo rimase al contempo estasiato e perplesso dinanzi a Yumi, il robot direttore d’orchestra che accompagnò nientemeno che Andrea Bocelli sul palco, i primi scettici saltarono fuori parlando di vero e proprio stupro dell’arte. Sentire il connazionale Giuseppe Verdi in versione “automatizzata” ha fatto tremare migliaia di spettatori, un po’ per una sorta di orgoglio ferito, un po’ perché realmente spaventati all’idea che un automa possa un giorno rubare il posto ad artisti di ogni genere.

A due giorni dalla finale del più prestigioso torneo mondiale di tennis, Wimbledon, la tecnologia torna a far parlare di sé. Erano tutti in ansia per il debutto in questo torneo di Watson, il nuovo software di IBM, colosso dell’elettronica da sempre grande alleata della competizione.

Ciò che ha attirato maggiormente l’attenzione di appassionati di tennis ma non solo, è certamente la rivoluzionaria funzione del programma: Watson è infatti in grado di elaborare un filmato di highlights (i punti salienti, per i cultori del passato) in completa autonomia.

Come? Analizzando innanzitutto i gesti dei tennisti in gara, confrontando quanto visto in campo con un idealtipo di movimenti ideali, favorendo in questo modo la selezione di azioni spettacolari.

Ma non solo. Oltre a tener conto dell’importanza di ogni punto, portando così all’attenzione del pubblico score maggiormente decisivi, Watson analizzerà i suoni della platea stessa. Sfruttando la rinomata silenziosità del pubblico tennistico, il quale rimane in religioso silenzio quando la palla è in gioco, il software analizzerà e, in seguito, riprenderà le immagini della partita contenenti il maggior trasporto emotivo degli spettatori, il tutto calcolando l’intensità del tifo stesso.

Giudizi discordanti

Come largamente prevedibile, i commenti a proposito sono perfettamente in equilibrio fra loro. Con il torneo agli sgoccioli, è giusto anche tirare le somme di quanto visto finora: buona parte degli appassionati si è detta non particolarmente soddisfatta dell’opera di selezione automatica del software, facendo notare come certe azioni non faranno parte dei “ricordi” registrati negli highlights per un fattore puramente schematizzante. Al contrario, molti sono rimasti molto colpiti soprattutto dalla velocità con cui questi filmati sono stati resi pubblici ai fan, garantendo che le virgole tagliate fuori siano gocce nell’oceano del gioco, per quanto spettacolari.

Ma chi ha prestato maggiormente l’occhio a questo Wimbledon è probabilmente chi del video making ha fatto prima una passione, poi un lavoro. E’ più che logico che un artista, nel senso più ampio del termine, non possa non avere una sorta di timore verso questo tipo di macchine. Considerando il giudizio del grande pubblico, visibilmente favorevole a grandi linee alla nuova tecnologia, e in virtù del fatto che il supporto tecnologico degli altri grandi slam della stagione, come Parigi, ne sia uscito fortemente ridimensionato, il tutto fa presupporre un upgrade simile anche in altre competizioni.

L’arte a rischio

Come già detto, chi dell’arte ha fatto una professione, al giorno d’oggi, sente di trovarsi in una situazione precaria. Se la musica ne ha già fatto le spese, oggi è la produzione video, domani chissà. Ciò che è certo, è che almeno i grandi palcoscenici iniziano a preferire la velocità, l’immediatezza del contenuto, a discapito della qualità.

Se questo terrorizza alcuni, come il celebre Roald Dahl col suo meno famoso “Lo scrittore automatico”, per altri sembra rappresentare un vero e proprio punto di svolta nella produzione dell’arte.

Per questi ultimi infatti, ciò a cui stiamo assistendo non è la sostituzione dell’artista come profetizzato dai più scettici, ma al contrario l’allontanamento definitivo da un certo tipo di produzione artistica (e così anche dal passato) in cui, al giorno d’oggi soprattutto, prevale l’industrializzazione della stessa.

Con robot automatici impegnati nella costruzione in serie di prodotti, oltre che nella loro esecuzione, certamente si perderà in qualità. Tuttavia, è logico pensare ad un successivo nuovo sviluppo della creatività, unita probabilmente ad un vero e proprio neo-rinascimento della cultura e all’elaborazione di nuove idee, l’unica strada percorribile per chi, come tanti, rischia di vedersi scavalcato nella “semplice” esecuzione di un’opera da un automa forse meno passionale, ma più pratico

Questa però, come del resto anche la più famosa teoria della sostituzione, non è nient’altro che una supposizione come tante. L’unica medicina efficace contro questo eterno disagio moderno resta ancora l’attesa come, ovviamente, un consiglio spassionato alla lettura dello stupendo libro di Dahl.