La pratica di escludere in parte o totalmente alimenti di origine animale è stata a lungo discussa nel corso della storia della filosofia. Può essere intesa sia come atto di “pietas” e rispetto nei confronti degli animali, sia come scelta di alimentazione, stile di vita indipendentemente dal valore che si attribuisce all’animale. Si analizzeranno alcune delle più importanti posizioni dei filosofi riguardo all’essere vegetariani.
Filosofia Antica
Una considerazione sul vegetarianesimo nel mondo antico potrebbe senz’altro riguardare la Scuola Pitagorica. Essere vegetariani non era affatto una scelta scontata all’epoca a causa delle condizioni di vita del contesto storico, significava infatti rischiare alcune malattie. È curioso che nella Scuola Pitagorica una delle regole da seguire fosse proprio quella di astenersi dai cibi di origine animale. Questo è in parte dovuto alla dottrina Pitagorica della metempsicosi, ovvero la trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro, anche in quello animale. Era quindi un segno di rispetto dovuto. Si narra che lo stesso Pitagora fosse vegetariano.
Schopenhauer: Etica della minor sofferenza
Schopenhauer riprende il concetto orientale del “Tat twam asi” ovvero “l’animale che adesso uccido sono io stesso, sono io qui adesso” ferendo o danneggiando un animale danneggio me stesso. Per il filosofo quindi sembra che gli animali non solo abbiano il diritto di non soffrire ma anche il diritto di vivere senza essere uccisi per scopi alimentari. Tuttavia secondo la filosofia di Schopenhauer l’uomo è l’ente che soffre di più in questo mondo, poiché è più consapevole del proprio dolore rispetto alle piante e agli animali. Se l’uomo mangiando carne ha la possibilità di soffrire meno, allora è lecito che si cibi anche dell’animale. Questa prospettiva è definita Etica della minor sofferenza. Il filosofo non ritiene quindi una caratteristica necessaria l’essere vegetariano per un individuo che voglia rispettare l’animale nella sua Alterità. Schopenhauer ammette il vegetarianesimo anche come scelta alimentare del tutto personale, come stile di vita, formazione di se stessi. Quindi ad esempio scelgo di essere vegetariano perché posso farlo, le condizioni di vita della mia epoca me lo consentono e voglio assumere un determinato regime alimentare.
Derrida: nonostante tutto restiamo carnivori
Derrida nella sua conferenza “L’animale che dunque sono” formula un’etica nei confronti dell’animalità basata sulla pietas. Afferma quindi che dobbiamo avere rispetto e rendere giustizia agli animali, essi hanno il diritto di non soffrire. Tuttavia nella sua conferenza “Il faut bien manger” tradotto “Bisogna pur sempre mangiare bene” afferma che non è necessario astenersi dal consumare cibi di origine animale. Se bisogna mangiare, tanto vale mangiare bene. Inoltre essere vegetariani non implica un’apertura verso l’Altro. Posso essere vegetariano e razzista ad esempio, quindi l’essere vegetariani di per sé non ha un valore morale di rispetto e giustizia. Inoltre secondo il filosofo non saremo mai totalmente vegetariani nemmeno se c’impegnassimo a non mangiare carne per tutta la nostra vita. L’istinto carnivoro si presenterebbe comunque in noi, magari sotto forme diverse da quella alimentare. Ad esempio posso essere un predatore nell’ambiente lavorativo. Derrida afferma infatti:
“Non credo a un vegetarianesimo assoluto, come non credo alla purezza etica delle sue intenzioni […] Anche i vegetariani possono benissimo incorporare, come tutti e per via simbolica, degli esseri viventi, della carne e del sangue.
Elena Bellinello