Uscendo dalla Convenzione di Istanbul la Turchia fa marcia indietro nella tutela dei diritti umani

Il recesso dai trattati è cosa prevista: ciononostante questo comporta spesso e volentieri una regressione nel campo in cui si era cercato di portare stabilità attraverso l’accordo.

In verde gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul

Secondo l’iniziativa del Presidente Erdogan che è stata approvata, il trattato per tutelare le donne contro gli episodi di violenza non vede più la Turchia tra gli Stati che lo hanno ratificato in quanto, secondo il governo, mina l’unità familiare ed incoraggia il divorzio.

Ironia della sorte

Il trattato è noto come Convenzione di Istanbul poiché venne firmato nel 2011 proprio nella città turca. È quasi ironico che oggi, dieci anni dopo, sia la Turchia stessa a ritirarsi dall’accordo, pur avendolo lanciato ed essendone stata il primo Stato firmatario. La notizia è arrivata nel corso della giornata di sabato dopo che nel corso della notte il governo ha approvato un decreto che sanciva il recesso. Questa azione è un ennesimo tentativo di strappo da parte di Erdogan di staccarsi dal modello di un’Europa dei diritti. La reazione non si è fatta mancare su ogni fronte. Le donne turche sono scese in piazza in massa contro questo repentino cambio di rotta dell’amministrazione. Oltre al prevedibile malcontento interno il presidente turco ha incassato gli altrettanto ovvi messaggi dell’Unione Europea e degli altri 45 Stati firmatari che hanno condannato la cosa come un passo indietro che compromette la protezione delle donne e non solo.

L’orizzonte dei diritti umani

Un simile accordo non è ovviamente fine a sé stesso. Lo scopo di proteggere le donne da violenze perpetrate unicamente a causa del loro genere è infatti generalmente considerato come parte dei diritti umani in generale. Infatti la violenza contro le donne mina l’uguaglianza su tutti i fronti su cui basa la società democratica e pertanto va combattuta non soltanto con il mero fine della protezione ma anche per garantire una sostanziale parità di trattamento ad ogni individuo che fa parte della comunità. Già nel 1995 l’ONU ha definito e condannato la violenza contro le donne nella Dichiarazione e programma di azione Adottati dalla quarta Conferenza mondiale sulle donne. Sostanzialmente si è arrivati a comprendere la violenza di genere come qualcosa che lede i diritti umani in senso più ampio proprio a causa delle conseguenze che determinate azioni hanno sulla società tutta. Basandosi sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la violenza basata sul genere può arrivare a violare, tra gli altri, il diritto alla vita (art. 3), il diritto a non essere sottoposti a torture (art. 5), il diritto alla uguale protezione davanti alla legge (art. 7) e il diritto alla libera circolazione (art. 13).

Orizzonte futuro

La violenza di genere è una questione di diritti umani. La dottrina a livello internazionale se ne occupa e da questo si evince si comprende quanto il fenomeno sia grave e diffuso e la pericolosità delle conseguenze che può avere. I danni che provoca sono sia fisici che psicologici. Anche se attualmente viene messo in evidenza il fenomeno come lesivo della dignità e dell’identità della vittima, esso diviene espressione massima della negazione dell’uguaglianza e della parità di genere. Infatti talvolta si tratta di un crimine contro l’umanità. Va perciò ribadito come servano mezzi sempre nuovi per contrastarlo o meglio ancora per prevenirlo. Tali mezzi sono da ricercare sia nel diritto interno che in quello internazionale. La Convenzione di Istanbul è un caposaldo le cui fondamenta non sono messe in discussione, nonostante lo scossone che lo strappo della Turchia ha inflitto al trattato. Il fulmine a ciel sereno scagliato dal governo di Erdogan potrebbe essere un segnale in senso opposto rispetto alla via seguita finora e questo non fa altro che ribadire che la fine del percorso è lungi dall’essere raggiunta.

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