Una visione del mondo distorta induce alla devianza: così nasce il fenomeno delle baby gang

Dall’intenzione di farsi “rispettare”, al desiderio di poter rendere la loro vita migliore, fino al semplice piacere di provare adrenalina.

I crimini compiuti da minori legati alle baby gang sono diventati un argomento all’ordine del giorno. Purtroppo le statistiche confermano l’aumento dei reati minori, intesi come una serie di atti violenti compiuti da minori organizzati in gruppi.

Le baby gang

Il termine baby gang si riferisce al fenomeno della criminalità su piccola scala che si sviluppa e si diffonde in un ambiente urbano. I protagonisti di comportamenti scorretti e dannosi per persone o cose sono i bambini più piccoli, minori, che si riuniscono per il chiaro scopo di criminalità. A partire dal furto di smartphone e accessori firmati, ad atti vandalici, rapine, aggressioni e spaccio di droga. Le identità dei membri tipici della banda infantile hanno un’età compresa tra i 12 e i 17 anni e si rivolgono ai loro coetanei, solitamente nelle scuole, agli anziani, ai disabili e in generale a tutti gli oggetti più vulnerabili e deboli. È facile pensare che la microcriminalità abbia trovato terreno fertile in un ambiente degradato dove esistono condizioni severe a livello economico, sociale e familiare. In realtà, la percentuale relativamente alta di delinquenza giovanile si riferisce a quelle situazioni in cui il background sociale è moderatamente elevato. Di solito si tratta di adolescenti con famiglie benestanti alle spalle, che vivono nella noia e scelgono questo gruppo per migliorare ulteriormente la loro condizione.

Dove avviene lo sviluppo più frequente e più facile sono le scuole, le scuole medie, le scuole superiori e persino le scuole elementari. La motivazione è semplice: l’ambiente scolastico rappresenta l’ambiente per la prima volta dell’amicizia primogenita e l’ambiente per la prima interazione nel gruppo. Possiamo dire che le baby gang rappresentano l’evoluzione del comportamento di bullismo. Che ci siano o meno ragazzi ricchi, sono spinti da un forte desiderio di non conformità e, su questa base, tendono a violare le regole a loro imposte. La criticità in questo caso è insita in una cattiva educazione, povera di regole da rispettare, o addirittura in una totale assenza di orientamento socio-educativo da parte dei genitori. Esistono in realtà varie teorie che tentano di identificare le cause dello sviluppo del fenomeno. È abbastanza chiaro che non esiste un’unica motivazione che spinga a commettere atti di microcriminalità. In alcuni casi la tendenza ad adottare comportamenti antisociali si associa alla psiche dei soggetti, a frustrazioni incontrollate che portano a scaricare l’aggressività su soggetti identificati come deboli. Tra i motivi che più frequentemente inducono gli adolescenti a commettere micro crimini rientrano anche i contesti familiari problematici, nel contesto dei quali vi sono divorzi, separazioni difficili e talvolta anche perdite. Al contrario, anche una famiglia troppo protettiva può far nascere nel ragazzo un forte desiderio di ribellione. Infine, ma non meno frequente, una carenza educativa che porta ad un abbassamento della percezione di illecito.

La loro visione del mondo

Il comportamento deviante, di certo non ha una sola causa, ma è parte di un tutto complesso: cioè il soggetto. Dunque, per comprendere realmente il senso del suo comportamento, bisogna analizzare il contesto di cui ne fa parte. Ma soprattutto, non possiamo dare un nostro giudizio soggettivo, ma ciò che conta è comprendere il senso che il ragazzo stesso da ai suoi comportamenti. Il che significa riuscire a comprendere il punto di vista del soggetto rispetto al mondo, il significato che lui attribuisce alle sue esperienze vissute e alla sua realtà.

La realtà assume il significato che ciascun soggetto le presta. Un primo modo in cui si da il proprio significato del mondo, è nella proiezione della realtà delle esperienze rilevanti. Dunque, la coscienza dinanzi al mondo si fa un punto di vista, una prospettiva che coglie alcuni aspetti del reale, tracciando figure rilevanti. Così la globalità del reale rimane un orizzonte tracciabile solo a partire dallo sguardo del soggetto sul mondo. Quindi ciò che il soggetto ritiene reale è il mondo per sé. Ogni individuo, attraverso questo processo, si costruisce una personale visione del mondo, cioè quello che ognuno reputa che sia la realtà. Ed è proprio qui che notiamo l’insorgenza dei problemi: l’individuo non è nel mondo dal solo con il suo corpo e la sua psiche, ma è nel mondo con gli altri, ed è nell’incontro con l’altro che la definizione del mondo si scontra (o si incontra) con altre definizioni e altre soggettività.

Costruire la propria visione del mondo non è un’attività visionaria, è un processo di mediazione continua tra i vincoli della realtà e le possibilità del soggetto. Non si tratta qui di delineare un percorso improbabile di un soggetto onnipotente, ma di ripercorrere le tappe essenziali di questa mediazione tra vincolo e possibilità.

La percezione di sé rispetto al mondo

Lo sviluppo del soggetto è legato al tipo di relazione che instaura con il mondo e all’attività intenzionale della coscienza, protagonista di questa relazione. Il disadattamento è il prodotto di un fallimento o di un funzionamento alterato della coscienza intenzionale. Tutti i casi di irregolarità possono essere ricondotti a limiti nello sviluppo della coscienza intenzionale che si dirama in:

assenza dell’intenzionalità: dove c’è una presenza esclusiva dell’oggetto nella visione del mondo del soggetto. Cosa vuol dire? Il soggetto non si ritiene la causa e il responsabile di azioni e conseguenze. Dunque, si ritiene incapace di poter cambiare la realtà che lo circonda, intrappolato nella sua visione del mondo dominata dal senso della nullità del sé di fronte alle cose del mondo, che secondo esso accadono autonomamente. Proprio in questo caso il ragazzo, si sente sganciato dal mondo. Si possono evidenziare diversi tipi di comportamenti: il primo tipo è la ricerca della soddisfazione immediata. Il ragazzo vive, anzi sopravvive, con quello che la vita li offre, momento per momento, compiendo azioni delle quali non si sente l’autore, ma solo una pedina passiva. Un altro comportamento è quello della “fuga da sé”. Il ragazzo tende a rifiutarsi e annullarsi, e sviluppare il desiderio di diventare qualcun altro. Con questo atteggiamento, si lega ad abitudini e persone, lasciandosi trasportare e influenzare, lasciando che gli altri possano fare qualsiasi cosa sulla sua persona. Un terzo tipo di atteggiamento è quello della svalorizzazione di sé. Questa volta, c’è un grado di consapevolezza, ma il ragazzo si focalizza sulla sua insufficienza, svalutandosi. Quindi esso reagirà o facendo atti che possano distrarlo dal suo senso di nullità, commettendo azioni devianti; oppure si chiude completamente in sé stesso, inducendosi ad azioni di autoannullamento, fino a suicidarsi.

Distorsione dell’intenzionalità: quando la figura del soggetto è esclusiva, quindi esso si ritiene onnipotente. Cosa succede se la realtà prova a contraddire il soggetto che si sente superiore? Il ragazzo può pensare che il mondo va contro di lui, disperandosi e cercando di riappropriarsi del rispetto che secondo lui merita; oppure scontrandosi con la realtà, capisce di aver preso una “brutta strada” ma non riuscendo ad emergere, viene imprigionato in un circolo vizioso in cui per riscattarsi assume atteggiamenti sempre più violenti. Un altro atteggiamento, è quello di porsi mete molto alte, in quanto si sentono all’altezza per raggiungerle. Essi cercano l’incontro e lo scontro per far capire all’altro che sono in grado di dominare e che sono abbastanza forti da guadagnarsi rispetto attraverso il terrore. Ma hanno bisogno necessariamente dell’altro per affermarsi e per farlo divenire spettatore del suo esibizionismo.

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