Una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha delle precise regole per essere approvata, che devono essere seguite affinché essa sia effettiva.
I cinque membri permanenti del CdS delle Nazioni Unite hanno un enorme potere concentrato nelle loro mani dal momento che possono bloccare una qualsiasi decisione semplicemente dissentendo da essa.
Disordini in Etiopia
Alice Wairimu Nderitu, alta funzionaria dell’ONU e consigliera speciale per la prevenzione dei genocidi, nel corso del mese di febbraio ha più volte avvertito dell’esistenza del rischio di violenze e atrocità in Etiopia, non solo nella regione del Tigrè ma anche in altre aree del Paese. La guerra civile era scoppiata lo scorso 4 novembre, quando il Primo Ministro etiope ha disposto l’invio di truppe federali nel Tigrè al fine di contrastare militarmente le forze del partito di governo locale, il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigré. Nonostante la guerra civile sia durata soltanto qualche settimana (il 28 novembre infatti le truppe governative hanno conquistato la capitale della regione, Makallè) i suoi strascichi si stanno protraendo fino ad ora, con violenze su ampia scala e una conseguente grave crisi umanitaria: è stata persino ventilata l’ipotesi del rischio di un genocidio. La funzionaria ONU ha segnalato tutto questo fino a che la questione non è finita al tavolo del Consiglio di Sicurezza, deputato per suo stesso Statuto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (art. 24).
Il diritto di veto
Nonostante le evidenti violenze che si stanno verificando nell’area il Consiglio di Sicurezza non è però riuscito a far approvare una dichiarazione che chiedesse la fine delle violenze nel Tigrè. La bozza della dichiarazione è stata messa da parte dopo due soli giorni di negoziati a causa del blocco imposto da Russia e Cina ai lavori. Fonti riferiscono che non ci sia consenso all’interno del Consiglio e che non ci sia nemmeno l’intenzione di procedere con ulteriori tentativi. Pechino e Mosca a quanto pare ritengono che i disordini nel Tigrè siano una questione interna all’Etiopia e che pertanto vada gestita a livello locale dalle autorità preposte. Il potere di bloccare i lavori alla dichiarazione è garantito a Cina e Russia dalla loro condizione di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. I membri permanenti sono cinque: Russia, Cina, Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Gli altri membri del Consiglio sono gli altri Stati membri dell’ONU che siedono a turno per partecipare ai lavori. Al fine di concretizzare ed approvare delle risoluzioni su questioni sostanziali (come ad esempio delle misure che mitighino dei conflitti in corso) è necessario che ci siano nove voti favorevoli sui dieci disponibili. Nei nove voti favorevoli devono essere compresi quelli dei cinque membri permanenti.
Conseguenze del diritto
Quanto sopra riportato viene stabilito nell’articolo 27 dello Statuto delle Nazioni Unite, che però non cita esplicitamente il diritto di veto: questo si evince dalla formula necessaria per approvare le decisioni su questioni sostanziali, che devono avere il consenso dei cinque membri permanenti. Va da sé che venendo a mancare il voto favorevole di uno o più dei cinque (come accaduto per quanto riguarda la questione sulle violenze in Etiopia) ogni eventuale tentativo di decisione si risolve in un nulla di fatto. Esiste una ulteriore particolarità sul diritto di veto, che potrebbe permettere di aggirare questo schema: nonostante l’articolo 27 stabilisca diversamente, l’astensione dal voto non è da considerarsi pari al veto. Questa deroga alle disposizioni del Trattato si deve ad una consuetudine stabilizzatasi nel tempo che è andata a scalzare l’accordo pattizio preso dagli Stati membri. Dunque sia l’astensione che il non voto sono da considerarsi come non ostativi all’approvazione, permettendo così in taluni casi di approvare delle decisioni anche senza il voto di tutti e cinque i membri permanenti.