Un dialogo che parte da “Rapunzel” per arrivare al “Principe canarino” tramandato da Calvino

Intraprendiamo un viaggio in una delle più celebri fiabe europee guidato da Walt Disney ed Italo Calvino.

La storia di Raperonzolo ha affascinato migliaia di bambini per la crudeltà di una matrigna e l’amore ed il coraggio di due giovani; Calvino, un secolo più tardi, tramanda la simile storia di un principe trasformato in un canarino.

“ORA VEDO LA REALTA’ E LA NEBBIA SI E’ DISSOLTA”

E’ ampiamente consolidato il fatto che la celeberrima casa cinematografica fondata da Walt Disney debba molto alla tradizione letteraria mondiale di tutti i tempi. Non solo i capolavori della letteratura o della mitologia classica vengono trasposti in pellicole d’animazione ma si rende un particolare omaggio al genere della fiaba. E’ questo il caso di “Rapunzel – L’intreccio della torre”, cinquantesimo film Disney, datato 2010 e collocato nella top 10 dei lungometraggi d’azione della casa con più incassi e detentore del primato di film più costoso della storia della casa cinematografica. “Rapunzel”, basato sulla fiaba tedesca di “Raperonzolo” dei fratelli Grimm, è ormai diventato parte della cultura popolare europea: si narra di un fiore dai poteri magici, capace di ringiovanire le persone che venne trovato dalla perfida Madre Gothel. Essa lo custodì per secoli, sino a quando non venne utilizzato per salvare la regina prossima alla morte per parto. I poteri del fiore passarono così alla bambina neonata, dotata di splendidi capelli dorati che, se spazzolati, manifestavano le stesse proprietà curative del fiore magico. Gothel, per sfuggire alla vecchiaia ed alla morte imminenti, decise di rapire la bambina per crescerla isolata in una altissima torre, il cui accesso era possibile solo mediante i lunghissimi capelli che la ragazza calava come sostegno. Per ben diciotto anni Rapunzel rimase segregata nella torre dalla perfida Gothel che le faceva credere di proteggerla, sino a quando il fuggitivo Eugene lì trova riparo dalle guardie reali che lo inseguono per aver rubato il diadema della principessa perduta. Qui i due si conoscono e decidono di uscire insieme dalla torre: lei proteggerà lui e il diadema se lui la guiderà nel mondo esterno. I due sono però inseguiti da Gothel che ha scoperto la di lei fuga e dalle guardie reali che cercano il ladro. La malvagia donna tende una trappola a Rapunzel, facendole credere che Eugene non solo non la ami, ma che sia anche fuggito con il diadema, abbandonandola. Disperata, la giovane fa ritorno alla torre, mentre Eugene viene condannato all’impiccagione. Rimasta sola, la principessa improvvisamente ricorda le sue origini e affronta Gothel. Nel frattempo, Eugene, scampato alla morte, torna alla torre, dove l’amata è imprigionata, ma, una volta giunto in cima, viene pugnalato da Gothel, che vuole fuggire con la ragazza. Egli, dunque, capendo che i poteri dei capelli non devono essere usati per scopi immorali, le taglia definitivamente la chioma. Gothel comincia così a invecchiare e muore divenendo polvere. Rapunzel riesce poi a salvare l’amato morente tramite una lacrima, impregnata dei poteri del fiore, che gli cade sul viso. La giovane può così tornare dai veri genitori e godersi il suo lieto fine con la celebrazione delle nozze.

IL FOLKLORE ITALIANO RACCHIUSO IN DUECENTO FIABE

Nel 1956 Calvino si accingeva a pubblicare le “Fiabe italiane”, il cui titolo esteso esplica l’intento del suo operato: “Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino”. Da questa splendida fotografia del folklore italiano si deduce la fortissima influenza dei miti latini e greci e delle più celebri storie, divenute ormai imprescindibili per la letteratura dell’infanzia. Di esempio ne siano “Belinda e il mostro”, versione regionale de “La bella e la bestia”, o “La Bella Venezia” per “Biancaneve”. Al diciottesimo posto nel lunghissimo elenco che comprende ben 200 fiabe provenienti da tutto il “bel paese”, troviamo “Il principe canarino”, di origine torinese. Non ci sarà difficile istituire un chiarissimo legame con il film Disney: Calvino racconta di una principessa, allontanata dalla famiglia per volere della matrigna e cresciuta in una torre. Ella conosce un principe, di giallo vestito, con il quale però fatica a dialogare a causa della distanza che li separa. Una strega porta così in dono alla giovane di un libro magico che, se sfogliato, trasforma il principe in un canarino e, se sfogliato al contrario, lo riporta al suo aspetto originario. La matrigna, intuendo il tutto, decide di cospargere il cuscino su cui era solito posarsi il canarino di vetri appuntiti: è così che il principe si ferisce gravemente e si allontana dalla torre in fin di vita. La giovane decide di fuggire per tentare di salvarlo e passa la notte in una quercia cava, dove riesce ad origliare un dialogo tra alcune streghe che rivelano l’esistenza di un potente antidoto capace di guarire le ferite del principe. L’indomani, la ragazza, travestita da medico, riesce a salvare l’amato e, chiaritisi, i due possono finalmente celebrare le nozze.

CHE DIFFERENZA C’E’ TRA FAVOLA E FIABA?

Possono sembrarci sinonimi, ma la differenza che intercorre tra le due è sostanziale. Il termine “fiaba” deriva dal latino “flaba” con il significato di “racconto”, caratterizzata da narrazioni medio-brevi, si incentra su personaggi appartenenti al mondo fantastico quali fate, sirene, orchi, streghe o giganti che vengono coinvolti in imprese altrettanto surreali ma volte ad una morale che ha intento formativo. La collocazione spazio-temporale è generalmente incerta, rimandata a personaggi, epoche e luoghi lontani e remoti. I motivi e lo schema sono ricorrenti e fissi, vi è una ripetizione anche nelle frasi, come il classico “C’era una volta” o nelle formule magiche. La fiaba ha sempre un lieto fine che premia la bontà e la virtù dei buoni e punisce l’antagonismo e la malvagità dei cattivi. Tra gli esempi più popolari di fiabe possiamo annoverare Cappuccetto rosso o Pollicino. La favola invece, vede le origini del termine risalire al latino “fabula” e dal verbo “for”, con il significato di “raccontare”: i suoi personaggi sono generalmente animali o oggetti umanizzati che mirano a narrare per trarre un insegnamento morale, spesso formulato esplicitamente alla fine del racconto, motivo per cui essa presenta vari punti di contatto con la parabola. Tra le più famose fiabe si ricordano quelle di Esopo, di Fedro o di La Fontaine. Tanto fiaba quanto favola hanno segnato la nostra infanzia, ricordandoci di come, gli insegnamenti che più abbiamo recepito, siano stati impressi nella nostra memoria con storie talvolta spaventose e surreali per metterci in guardia da un mondo reale non meno cruento e spaventoso.

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