Terrorismo e delitti politici possono avere forme diverse: un esempio tragico nel film “22 luglio”

Il terrorismo oggi esiste ancora, ma si presenta con forme differenti rispetto al passato. Con la sua imprevedibilità è più difficile da sconfiggere.

 Ma se si parla di terrorismo, si parla anche di delitti politici. I pregiudizi culturali ci inducono a collegare queste parole prettamente alla società islamica estremista, ma nel film “22 luglio” viene raccontato il tragico attacco avvenuto da parte di un solo individuo anti-islamista.

Terrorismo e delitti politici

Entrambi questi concetti rientrano in quelle che sono criminalità organizzate, insieme alla criminalità di tipo mafioso; queste sono caratterizzate per la loro razionale organizzazione. A differenza delle organizzazioni a stampo mafioso che agiscono per ottenere obbedienza assoluta e omertà attraverso il terrore, le organizzazioni terroristiche compiono atti di violenza per rovesciare l’assetto politico esistente. Per atto terroristico, quindi,  si intendono tutte quelle azioni d’impatto fisico e/o psicologico che infliggono gravi danni, commessi da individui singoli, gruppi di persone o Stati per raggiungere degli obiettivi politici in un territorio governato da un sistema politico che si ritiene avversario, nemico, da combattere e modificare in qualche sua forma. Ad oggi gli atti terroristici continuano ad essere presenti e sono un argomento attuale e vasto. Nell’immaginario comune il terrorismo è rappresentato dall’ ISIS o dall’ Islam, pensiero non del tutto corretto in quanto la violenza politica (e non solo) non è riconducibile sempre agli stessi gruppi terroristici.

Dallo stesso pensiero fu  sopraffatta
 la polizia norvegese, che in un primo momento associò a questi, l’attacco subito, ignorando l’idea che a commettere un’azione del genere fosse stato un singolo individuo comune, fissato con la  sua ideologia, tanto da sconvolgere e terrorizzare  una nazione intera e provocando la morte di gente innocente ma per lui profondamente colpevole. Di quale attacco si parla? Avvenne il 22 luglio 2011, uno degli attacchi terroristici più efferati nella storia della Norvegia dal dopoguerra da parte di un solo uomo ed unico responsabile: Anders Behring Breivik. Venne identificato come un nazionalsocialista, anti-multiculturalista, anti-marxista e anti-islamista. Autore di un manifesto: “Memoriale 2083 – Una dichiarazione europea d’indipendenza” nel quale si definisce come “il più grande difensore della cultura conservatrice in Europa dal 1950” e anche come “salvatore del cristianesimo”. Pianificò l’attentato per ben nove anni. Fondò appositamente un’attività di programmazioni di computer, riuscendo così ad ottenere i fondi necessari per acquistare  componenti per l’ordigno, materiali esplosivi, armi e veicoli per il trasporto.

 

Cosa accadde quel “22 luglio”

La testimonianza di ciò che è accaduto quel dannato giorno, fu lasciata da uno dei sopravvissuti all’attentato, Viliar Hanssen. Da questa sua storia fu  scritto un libro “Uno di noi – La storia di Anders Breivik” (One of Us) di Åsne Seierstad. Tratto dal libro, nel 2018 uscì il film “22 luglio” (22 July)  scritto e diretto da P. Greengrass.

L’intero atto terroristico, fu meticolosamente suddiviso in due parti.
Il primo attacco avvenne nei pressi del quartiere centrale di Oslo, sede dei palazzi del governo norvegese e dell’ufficio del primo ministro J. Stoltenberg. Fece esplodere un’autobomba causando la morte di otto persone. La potenza dell’ordigno fu tale che, l’eco della deflagrazione, arrivò a misurare circa 7 kilometri di distanza, gettando nel panico la popolazione della capitale. Non conoscendo le cause dell’esplosione, i media nazionali e le forze dell’ordine, si fiondarono nei pressi dell’accaduto, ordinando alla gente di mettersi al sicuro. In un primo momento si pensò ad un attacco di tipo terroristico da parte di gruppi fondamentalisti islamici.

Breivik studiò e mise in pratica questo primo atto terroristico per deviare l’attenzione  delle forze dell’ordine in un posto diametralmente opposto al suo secondo obbiettivo: l’isola di Utøya, dove fu  organizzato un campus  dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. L’attentatore per raggiungere la sua meta e non destare sospetti,  indossò un’uniforme della polizia norvegese e si procurò documenti falsi. In questo modo raggirò gli agenti di sicurezza situati nei pressi del molo. Arrivato sull’isola, i primi ad accoglierlo furono i responsabili del campus, i quali, nonostante fossero spaventati dall’accaduto nel centro di Oslo, erano insospettiti dalle armi portate dall’uomo ed iniziarono a fargli domande sempre più invadenti. Riconosciuti come un pericolo e  un ostacolo, Breivik li uccise senza esitazioni.
Successivamente  giunse nel punto di raccolta dei ragazzi, i quali erano visibilmente scossi dalla notizia appresa dai loro genitori e dai responsabili del campus, ma all’arrivo del poliziotto pensavano di essere al sicuro. Purtroppo le loro aspettative caddero nel momento in cui iniziò ad aprire il fuoco su di loro con un fucile automatico, cercando di uccidere il maggior numero possibile di ragazzi. Per lui era fondamentale evitare che l’ideologia loro, e delle rispettive famiglie si propagasse nelle generazioni future. Quel giorno morirono 77 persone e centinaia furono i feriti.

L’anti-multiculturalismo

Nel momento seguente alla cattura di Breivik, si pensò che non avesse agito da solo, ma che fosse stato aiutato da altri estremisti. Successivamente queste teorie furono smentite dai risultati  delle indagini sugli attentati. Il processo iniziò ufficialmente il 16 aprile 2012, presso il palazzo di giustizia di Oslo, dove l’imputato si presentò salutando le famiglie delle vittime con il braccio teso e il pugno serrato, riconoscendo i fatti commessi ma non dichiarandosi come colpevole, giustificando i suoi comportamenti come legittima difesa contro il multiculturalismo.
Il processo si concluse
 il 24 agosto seguente, dove, riconosciuto come unico responsabile degli attentati, con la corte distrettuale di Oslo che decise per la sanità mentale, Breivik fu condannato a 21 anni di carcere, condanna massima in Norvegia. Venne così trasferito nel carcere di massima sicurezza di Skien, in qualità di detenuto speciale.

Perciò Breivik era anti-islamista e anti-multiculturalista, convinto a tal punto, da dichiararsi innocente. Ma gli stessi poliziotti che lo hanno poi arrestato, sono stati sopraffatti dall’idea che l’attacco terroristico fosse da parte di un gruppo islamico, cadendo in un atteggiamento che non è per niente multiculturale. Ma purtroppo molti pregiudizi sociali e culturali sono insediati nelle menti di tutte le società sotto forma di stereotipi. Questi ragionamenti, molte volte inducono a forme di razzismo e divisione sociale.
Quindi se da un lato si vuole sradicare l’idea che non tutti gli islamici sono estremisti e terroristi; dall’altro bisogna essere consapevoli che non tutti gli attacchi terroristici sono da parte di islamici.
La prima cinsapevolezza si può raggiungere attraverso l’educazione alla multiculturalità: riconoscere e rispettare le differenze religiose, politiche e culturali di società diverse rispetto a quelle di appartenenza.

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