GIOVANI E POLITICA La manifestazione dell’8 marzo di #nonunadimeno per i diritti delle donne è quella di ieri sul cambiamento climatico hanno avuto un indubbio protagonista: i giovani. Le persone in piazza hanno raggiunto dei numeri spaventosi, quasi-sessantottini. Nonostante questo si continua a parlare di una generazione di sdraiati, di disinteressati, e queste definizioni non sono neanche così lontane dalla verità: andare a manifestare due volte all’anno non è certamente condizione sufficiente affinché si possa parlare di movimento giovanile di protesta, è tuttavia condizione quanto meno necessaria. Non possiamo pretendere che una generazione come la nostra, in preda a continui stimoli di informazioni che rendono più difficile l’approfondimento, per dirlo con Benjamin, a causa del restringersi dello “spazio d’esperienza”, possa da un giorno all’altro prendere coscienza dei problemi e delle contraddizione del reale. Proprio però per questo limite, non completamente dipendente da noi, vale quello che diceva Marx:” magari non lo sanno, ma lo fanno.” In un mondo dominato dalla virtualità in cui i legami sociali, a causa del dominio dei social, “diventano sempre più volatili” per citare ancora Marx, c’è un evidente bisogno di fisicitá. L’alternativa a questo è rinunciare a quella condizione imprescindibile non solo per l’azione politica, ma per la vita umana in generale: l’essere-insieme. L’uomo è un animale politico, diceva Aristotele, ma non nel senso che fa politica, ma nel senso che nessuna sua azione può essere veramente tale se non si manifesta in pubblico. Ecco, l’uomo è un animale politico per il semplice motivo che ogni sua azione è umana solo se può essere vista è considerata dagli altri. Questa visibilità viene conferita alle azioni dallo spazio pubblico, lo spazio della polis e, dunque, della politica e dell’essere insieme. Nascere di nuovo: per una politica della natalità Diceva Hannah Arendt che la categoria essenziale della politica e, in particolare, della azione (praxis) politica è la natalità. In che senso però? Arendt vede nella prassi politica la grande capacità, che la distingue dal lavoro e dall’operare, di dare vita a qualcosa di nuovo nell’ambito dell’essere-in-comune. Ogni politica che possa e voglia definirsi tale, non può prescindere dunque dalla categoria della natalità, perché non ha alcun senso pensare a una politica senza azioni volte a dare un volto nuovo al mondo. L’azione politica è, innanzitutto, creazione ex novo di un potenziale racchiuso nella dynamis umana: nella capacità dell’uomo di autodeterminare se stesso. Senza questa prerogativa ogni azione smette di essere politica, ed avviene il trionfo di quello che Gramsci definiva “cretinismo economico”, ovvero la sottomissione della sfera pubblica all’economia. Non pensiamo però che situazioni come quella appena detta non siano già avvenute: quando il marxismo più volgare crede che il capitalismo cadrà solo ed esclusivamente in virtù delle sue contraddizioni o quando vi è un fatalismo, per esempio Cristiano, troppo pronunciato, ecco allora che lo spazio politico si chiude, e l’umanità stagna. L’azione politica è dunque creativa per necessità, dà vita a qualcosa di nuovo e da così senso alla storia, che per quanto possa essere compresa in lunghi periodi, trova la sua verità, nel senso di aletheia, solo nella praxis politica. E chi se non i giovani che, come disse Allende, sono rivoluzionari per natura può farsi portatore di questo bisogno di ri-nascita? Chi se non noi giovani può salvare questa Europa, che rischia di cadere in seno alle sue contraddizioni interne e alle conseguenti spinte dei populisti e dei sovranisti? L’EUROPA OVVERO LA GIOVENTÙ la ninfa Europa, da cui il nostro continente prende il nome, sarebbe sicuramente andata a manifestare l’8 Marzo, per un semplice motivo: Europa fu stuprata da Zeus trasfigurato in un toro. L’Europa già prima di nascere aveva in se l’idea della violenza e della sconfitta. L’Europa che conosciamo nasce infatti proprio da una sconfitta. Adenhauer, Schuman e De Gasperi avevano due cose in comune: erano tutti Democristiani e parlavano tutti tedesco. Ecco, il tedesco nel secondo dopoguerra era la lingua degli sconfitti. L’Europa nasce dunque dalla presa di coscienza dei nostri padri dell’incapacità degli Stati europei di vivere separati, nasce da una sconfitta. Ora però sembra che ci siamo rassegnati. Parlo per noi giovani: pensare a un Europa che faccia da terzo incomodo nel conflitto che verrà tra USA e China (tra pochi anni i cinesi supereranno il PIL americano e intanto hanno decuplicato le spese militari) è semplicemente pensare a un entità che non è più l’Europa: l’Europa è scienza, razionalità, libertà e tante altre cose. Ma l’Europa è soprattutto azione: l’Europa è il continente in cui Fichte scrisse che “essere liberi è cosa da nulla, divenirlo è cosa celeste”; l’Europa è la terra di Marx e della prassi rivoluzionaria di Gramsci. L’Europa è allo stesso tempo anche il luogo di nascita delle opere di bene della cristianità; l’Europa è la terra di Mazzini, Garibaldi, Rosa Luxemburg, Galileo, Giordano Bruno, Picasso, Robespierre e Beethoven. L’Europa è, come disse Hegel, un “leone affamato”. Noi giovani non possiamo fermarci e accettare posizioni difensive di non si sa quale identità europea. Da chi dovremmo difenderci, dagli islamici? Forse prima di dire queste cose bisognerebbe ricordarsi che senza gli arabi Aristotele non sarebbe mai stato letto. Dovremmo difenderci dagli africani? Sant’Agostino, il grande padre della chiesa, era, direbbe Berlusconi, “abbronzato”. Dovremmo rivendicare la nostra identità politica? Peccato che i romani davano la cittadinanza a ogni provincia: tutti potevano dire “civis Romanus Sum”. L’identità di Europa è necessariamente meticcia, e lo è proprio in virtù della sua attività, lo è perché è sempre stata in azione. L’essere-in-azione, eccola la condizione dell’Europa, che i nostri padri hanno dimenticato dopo la grande disillusione post 68 e dopo l’omicidio di Aldo Moro, di cui oggi è l’anniversario. I giovani devono tornare a organizzarsi politicamente e a lottare per la giustizia, attraverso azioni politiche. Ed è per questo che le manifestazioni dell’8 Marzo e quella sul climate change non devono essere ignorate: è ovvio che non risolvono nulla, ma come disse Marx “di tanto in tanto essi vincono, ma solo temporaneamente. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma la loro unità, che sempre più si diffonde.”
Giuseppe De Ruvo
|
|