Cosa succederà alla popolazione mondiale da qui alla fine del secolo? Lo studio del professore William Rees cerca di rispondere a questa domanda.
Dopo due secoli di crescita demografica esponenziale, a partire da un generale calo della mortalità registratosi nell’Ottocento, la popolazione mondiale non solo smetterà di crescere, ma addirittura inizierà a diminuire, principalmente a causa dello stile di vita insostenibile adottato dall’uomo.
Oggi siamo 8 miliardi e domani?
La demografia si occupa dello studio statistico della popolazione umana. Non è facile analizzare le dinamiche demografiche passate e presenti, né tantomeno prevedere quelle future poiché esse dipendono da molteplici fattori.
Molte proiezioni rivelano scenari demografici praticamente opposti: nel 2006 l’ONU aveva stimato che nel 2100 la popolazione mondiale sarebbe stata di quasi 9.5 miliardi (quindi, avrebbe registrato un ulteriore aumento) e soltanto in un secondo momento -complice la riduzione del tasso di natalità in diversi paesi in via di sviluppo- alcuni studiosi avevano rivisto le proiezioni e ridimensionato le stime sull’aumento demografico, tanto da parlare di stabilizzazione. Oggi c’è addirittura chi prende in considerazione la possibilità di un calo improvviso della popolazione, previsto proprio entro la fine del secolo (il tasso di fecondità totale nel mondo potrebbe passare da 2,4 (2017) a 1,7 nel 2100). Si tratta, ovviamente, di stime a lungo termine, soggette a numerose variabili (difficilmente prevedibili). Le proiezioni sono, dunque, soltanto probabili.
L’auto-sabotaggio
Lo studio del professore Rees, dal titolo “The Human Ecology of Overshoot: Why a Major ‘Population Correction’ Is Inevitable”, pubblicato su World, preannuncia il verificarsi di un brusco calo demografico entro il 2100, legato innanzitutto allo stile di vita auto-sabotante (a self-terminating way of life) adottato dall’uomo in questi ultimi duecento anni (insomma, a partire dalla rivoluzione industriale) e strettamente connesso all’allarmante questione ambientale (vd costante riduzione delle foreste, perdita di terreno agricolo, esaurimento di minerali e combustibili fossili).
Stiamo consumando e inquinando le basi biofisiche della nostra stessa esistenza. Il cambiamento climatico è il sintomo più noto dell’overshoot (= sovrasfruttamento).
Le ragioni della diminuzione della popolazione sono legate al consumo insostenibile di risorse finite che, quindi, arrivati a un certo punto (punto di rottura) non basteranno per tutti. La mancanza di “risorse”, specialmente di cibo, provoca in natura la diffusione di malattie e l’aumento della predazione, e inevitabilmente guerre per l’accaparramento delle risorse.
Il conseguente calo della popolazione, soprattutto se non gestito in maniera ottimale, provocherebbe un collasso sociale totale:
L’economia globale inevitabilmente si contrarrà e l’umanità subirà una grande “correzione” demografica in questo secolo.
Una soluzione c’è… In teoria
La previsione di Rees è piuttosto pessimistica anche se esclude una vera e propria estinzione della specie umana. Innegabile è la pressione demografica sulla Terra esercitata dall’impatto ambientale delle tecnologie utilizzate per soddisfare le crescenti necessità del sostentamento della popolazione.
Se fino a pochi decenni fa, la preoccupazione maggiore era legata all’invecchiamento della popolazione, oggi il collasso economico e demografico (connesso al caos climatico e ai disordini per la mancanza di risorse) è divenuto uno scenario più che probabile.
L’unica plausibile soluzione è promuovere la sostenibilità e superare la visione espansionistica-materialistica che sta distruggendo il nostro pianeta e la nostra specie, riducendo concretamente la produzione e il consumo.