Breve storia del linguaggio umano
La caratteristica per antonomasia specie specifica dell’essere umano è il linguaggio. Come oggi è facilmente intuibile, la sviluppo di questa abilità è avvenuto nel corso dei secoli nel percorso che ha portato all’evoluzione degli ominidi in umani. Un primo fondamentale passo in questo senso è stato sicuramente il passaggio alla posizione eretta, avvenuta circa 60000 anni fa e che ha determinato un cambiamento della struttura del cranio fra Neanderthal e gorilla. Bisogna poi aspettare altri 25000 anni (quindi circa 35000 anni fa) per notare dalle ricostruzioni fossili dei cambiamenti parziali rispetto ad altri primati di alcuni tratti fisici che, se di per sé non garantiscono il linguaggio, è certo che un essere vivente che li possiede avrà una forte probabilità di apprendere questa abilità. I tratti fisici interessati da queste modifiche fanno parte dell’apparato fonatorio: i denti si sono rimpiccioliti e raddrizzati rispetto ai primati e, se da un lato questo comporta una riduzione della capacità di strappare o spezzare il cibo, dall’altra migliora le capacità di masticazione e soprattutto permette la produzione di alcuni suoni come “f” e “v”; le labbra e la lingua sono divenute invece più ricche di intrecci muscolari, che insieme alla modifica della cavità orale, hanno permesso all’insieme degli elementi di acquisire un grande numero di conformazioni diverse ognuna delle quali produce un suono diverso. Il cambiamento più sostanziale però è dato dallo spostamento della laringe (dove si trovano le pliche ovvero le corde vocali) che si abbassa creando una cavità nella zona immediatamente superiore, la faringe, che funziona da cassa di risonanza. E’ importante notare come questi cambiamenti fisici possono portare di per sé uno svantaggio in termini di sopravvivenza poiché, per esempio, lo spostamento della laringe implica la possibilità di strozzarsi con il cibo. E’ evidente che la capacità di parlare deve essere risultata un vantaggio evolutivo di gran lunga maggiore degli svantaggi che ha provocato (in particolare rappresenta l’origine dell’essere umano come animale sociale che collabora con i suoi simili per la sopravvivenza). Infine il cervello umano risulta lateralizzato: ogni parte si è cioè specializzata nel controllo di una determinata funzione (le facoltà linguistiche sono localizzate nell’emisfero sinistro). Il contributo del cervello è anche quello di organizzare e combinare suoni e gesti in sequenze specifiche. Un’ipotesi afferma anche l’origine genetica della facoltà di linguaggio negli uomini: ad un certo punto della storia una modificazione del DNA avrebbe garantito la predisposizione del cucciolo di uomo ad apprendere una qualsiasi forma di linguaggio (non solo quello verbale) nei suoi primi anni di vita.
Scimpanzé e linguaggio
Mettiamo subito in chiaro che alcuni esperimenti condotti su scimpanzé allevati come bambini fra gli anni trenta e quaranta (quelli dei coniugi Kellogg e dei coniugi Hayes) hanno dimostrato retrospettivamente l’incapacità di questi animali di produrre suoni umani. Ma il linguaggio verbale non è l’unico tipo di linguaggio: da questa premessa nasce l’esperimento dei coniugi Gardner che allevarono come una bambina, in un confortevole ambiente domestico, la scimpanzé Washoe. Il risultato fu sorprendente: Washoe imparò più di cento segni ed era in grado di combinarlo per creare frasi elementari come “ fammi solletico” o “aprire cibo bere” per farsi aprire il frigorifero. I Gardner affermano anche che il primate era stato in grado di inventare autonomamente un segno per “bavaglino” e che aveva combinato i segni “uccello-acqua” per indicare il cigno. Washoe infine era in grado di comprendere molti più segni di quelli che sapeva produrre. Un altro esperimento portato avanti dai coniugi Premack consisteva nell’insegnare a Sarah, uno scimpanzé cresciuto in ambiente domestico, un linguaggio iconografico basato sulla correlazione fra figure e parole. Sarah dimostrò di saper associare un triangolo blu ad una mela (riferimento del tutto arbitrario deciso dagli scienziati) e di saper creare delle frasi basilari per ottenere del cibo. Infine un esperimento di Savage-Rumbaugh sullo scimpanzé Kanzi circa il linguaggio iconografico ha avuto esiti sorprendenti: Kanzi conosceva più di 250 simboli, poteva parlare, secondo la scienziata, un inglese al livello di un bambino di 2 anni e era in grado di chiedere di fargli vedere il suo film preferito (che in maniera abbastanza prevedibile era Tarzan).
Controversie e risultati
Questi esperimenti, per quanto ad una prima occhiata possano sembrare sbalorditivi e inequivocabili, nell’ambiente scientifico hanno fatto sorgere diverse controversie. L’altra faccia della medaglia è infatti rappresentata da scienziati come lo psicologo Terrace il quale afferma che i primati degli esperimenti reagiscono esclusivamente a stimoli esterni per poter ottenere una ricompensa (in questo caso il cibo). In altri termini non prendono realmente parte ad una conversazione, ma sono gli scienziati che lo percepiscono in maniera ingenua. D’altronde questa caratteristica rientra nella tendenza tipicamente umana di attribuire peculiarità umane a ciò che umano non è. Tutti noi attribuiamo a specifiche azioni di animali qualche significato che richieda un’intelligenza, così come gli uomini primitivi, diverse migliaia di anni fa attribuivano caratteristiche senzienti ad oggetti inanimati o fenomeni naturali. In conclusione la domanda resta aperta: i primati sono in grado di imparare una forma di linguaggio basilare con il quale possono formulare brevi frasi e richieste? O questa è una capacità esclusiva dell’uomo e l’intera speculazione non è nient’altro che un’umanizzazione del gesto istintivo volto ad ottenere come premio del cibo?
Lorenzo Giannetti