
Le radici del fondamentalismo Islamico sono profonde, ma i cui effetti hanno ridotto il Medio Oriente in un cumolo di sabbia. Di questo conflitto a lungo ignorato, le inchieste della Fallaci sono risultate essere un aiuto prezioso per un luogo che aiuti non ne ha mai avuti.
L’INVIATA SENZA VELO
Si potrebbe dire molto sulla Fallaci, giornalista e “scrittore” come riportato sulla sua tomba, amata e odiata come poche, ma le cui testimonianze ci hanno dato l’occasione di poter rivivere la storia attraverso le pagine dei suoi libri: ci racconta le guerre che gli italiani non potevano vedere, descrivendo come la vita delle donne “vale meno di una vacca o un cammello”, le atroci sofferenze di un uomo le cui ferite di guerra lo fanno urlare dal dolore e, infine, il bruciore che poteva percepire nei suoi polmoni nel momento in cui, nella regione del Kuwait durante la prima guerra del Golfo, vennero bruciati pozzi di petrolio per ordine di Saddam Hussein, rendendo il cielo nero come solo all’inferno poteva essere. La sua carriera non è stata costellata di premi, ma dei nomi che hanno fatto la storia e che lei ha potuto intervistare, da Alexandros Panagulis, leader durante l’opposizione greca e suo grande amore, fino ad Enrico Belinguer. Tornando in Oriente, può vantare di aver intervistato nomi quali quello del colonnello Muammar Gheddafi che, infastidito dalle domande della giornalista, si rifiutò di continuare l’intervista. Non mancano nella sua lista neanche i nomi dei protagonisti del conflitto arabo-israeliano, come quello di Hussein di Giordania, Yasser Arafat e dell’ayatollah Khomeini, provocato dalla Fallaci sulla questione del velo per le donne finendo, secondo la leggenda, addirittura per cacciarselo dinanzi a Khomeini stesso. Le interviste ed i racconti di guerra in quel luogo martoriato dalle grandi potenze mondiali sono state raccolte e riportate nell’opera postuma “Le radici dell’odio”. Tornerà successivamente a ribadire le sue posizioni sull’Islam a seguito degli attentati dell’11 Settembre 2001, dopo aver visto il secondo aereo kamikaze penetrare nella torre sud del World Trade Center “come un coltello in un panetto di burro”. La citazione, tratta dal lungo pamphlet “La rabbia e l’orgoglio” pubblicato sul Corriere della sera diciotto giorni dopo la strage, denunciò l’Europa intera per la sua incapacità di difendersi dal fondamentalismo islamico che, nel frattempo, marciava indisturbato verso l’Occidente. Non venne creduta, ma soltanto derisa, venendo additata come una mangia israeliani, questo mentre l’Europa non solo veniva martoriata dai terroristi come accadde a Madrid e nella metropolitana di Londra, ma anche mentre si discuteva in merito all’eliminazione del crocifisso all’interno delle aule scolastiche. Oriana chiese all’Europa di svegliarsi, ma tutt’oggi l’Europa giace in un sonno profondo.

UN PROBLEMA VECCHIO QUANTO LA BIBBIA
Un tempo la regione della Palestina era in mano all’impero ottomano e, dopo la disfatta dell’impero a seguito della prima guerra mondiale, venne diviso fra le grandi potenze mondiali durante il processo di colonizzazione e di decolonizzazione avvenuto fra una guerra e l’altra. Il fenomeno migratorio nel mentre cominciò a diventare sempre più grande e per tale ragione migliaia di ebrei provenienti da tutta Europa emigrarono in Oriente per andare a lavorare nei kibbutz, campi in cui si viveva in collettività con attività dedite all’agricoltura, come la coltivazione delle arance. Lo scopo, oltre quello di fuggire dalle persecuzioni ancor prima che guerre mondiali avvenissero, era quello di rifondare lo stato ebraico nella “terra promessa” citata dalla Bibbia. La Palestina si ritrovò ad ospitare allora due popoli che sembravano non avere tutta questa voglia di vivere insieme, ed il culmine arrivò nel momento in cui due anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna, colonizzatrice, fece due passi indietro, facendo si che la questione palestinese diventasse una questione internazionale. Interverrà per la prima volta l’ONU, proponendo un piano di spartizione considerato dai Palestinesi come non equo, poiché avrebbero avuto una percentuale di spazio in meno per una popolazione araba che all’epoca era il doppio rispetto a quella ebrea. Ma senza che vi fosse alcun tipo di consultazione fra politci arabi ed ebrei per quella terra contesa, il 15 maggio 1948 venne proclamato a gran sorpresa lo Stato di Israele, dando il via al conflitto arabo-israeliano. Vengono conteggiati in totale quattro conflitti avvenuti fra il 1948 e il 1973: il primo, che aveva come protagonisti gli stati arabi fra cui l’Egitto e l’Iraq, vide comunque la vittoria del neo Stato di Israele, marcando ai confini una “linea verde” per proteggersi da futuri attacchi. La seconda, nel 1956, vide dapprima Nasser prendere in mano l’Egitto grazie ad un colpo di stato e, successivamente, contendersi insieme alla Francia e la Gran Bretagna il canale di Suez, un punto strategico per gli scambi commerciali in tutto il mondo, soprattutto per la Gran Bretagna in quanto poteva facilitare gli scambi con l’India prima che raggiungesse l’indipendenza nel 1948. Dopo che Nasser decise di nazionalizzare il canale di Suez con l’aiuto della Russia, la guerra non ci sarà, ma Israele trarrà diversi vantaggi. Le conquiste territoriali di Israele non si fermano nemmeno con la guerra dei sei giorni del 1967 in cui, per la prima volta, viene usata l’aviazione. Infine, la guerra del Kippur del 1973, vedrà per l’ultima volta gli arabi cercare di riprendersi la Palestina. A seguito degli accordi di Camp David in cui l’Egitto riconosce lo stato d’Israele, per cui il presidente egiziano Sadat ritirerà anche il Nobel per la pace, verrà ucciso dai suoi stessi sudditi per tradimento. Ne seguiranno due intifade. Oggi la Palestina è riconosciuta da 138 su 193 paesi, ma continua ad essere un problema talmente caldo da essere lasciato lì da solo, come ad aspettare che si spegni da solo.
L’ORIENTE CHE BUSSA ALLE PORTE DELL’OCCIDENTE
Pensare che il conflitto non ci abbia riguardati e che non sia affare nostro è sbagliato, oltre che per motivazioni etiche e morali, anche perchè più di una volta gli arabi sono venuti a bussare alle porte del nostro paese, e non per una visita di cortesia: pensate al massacro di Monaco di Baviera del 1972, in cui perirono 11 atleti israeliani recatesi in Germania per partecipare alle Olimpiadi, dove furono dapprima sequestrati all’interno delle loro camere d’albergo e solo successivamente uccisi. Pensate all’attentato di Fiumicino, accaduto solo l’anno successivo dal medesimo gruppo terroristico, Settembre Nero, in cui posizionarono una bomba in un Boeing 707 della Pan Am. Pensate all’11 settembre. E mentre l’Oriente bussa indisturbato alle nostre porte pregando di essere ascoltato, l’Europa finisce con l’essere ll “Ponzio Pilato” di turno come soprannonimato dalla Fallaci, lasciando che il Medio Oriente restasse una terra mutilata i cui giacimenti di petrolio restano comunque fondamentali per il nostro paese, mentre si cerca di importare la democrazia in un paese che la democrazia, di fatto, dopo secoli di dittature, non l’ha mai conosciuta. E mentre la rabbia per ogni attentato nel nostro paese permane, il Medio Oriente progetta già i successivi, mentre il suo popolo muore di fame e di malattia. Ma soprattuto, mentre l’Oriente continua a bussare alle porte dell’occidente, crediamo che abbia sbagliato il numero civico.