Il diritto internazionale mette a disposizione precise norme per regolamentare il soccorso in mare che però spesso non vengono rispettate.
La situazione migratoria nel Mediterraneo non si è stabilizzata. I vari tentativi di arginare il fenomeno con le operazioni di monitoraggio e salvataggio dei migranti spesso diventano materia di scontro politico, nonostante esistano dei principi di diritto internazionale da rispettare.
Al largo della Libia
Diverse fonti raccontano della situazione in cui si ritrovano in questo momento 145 migranti a quindici miglia dalla costa libica. Un gommone salpato nella notte trasporta più di un centinaio di persone che sono state fatte partire nonostante le condizioni meteorologiche avverse e che ora hanno lanciato un SOS, al momento rimasto ignorato. Per ora infatti a nulla sono serviti gli appelli provenienti, tra gli altri, anche da Mediterranea Saving Humans. La situazione è resa drammatica dall’assenza della Ocean Viking, ossia l’unica nave umanitaria normalmente presente nell’area, che si è diretta verso nord per trasportare a terra altri 372 migranti raccolti negli ultimi giorni. Il quadro non migliora considerando che in queste ultime ore è stato accertato anche il primo naufragio dell’anno, costato la vita ad almeno 40 persone. La zona sarebbe in realtà a portata di alcune navi militari italiane, così come si potrebbe far entrare in azione anche quella che viene tenuta di stanza al porto di Tripoli. Purtroppo la situazione in Libia è tanto grave da far sì che i trafficanti spediscano in mare aperto gommoni fatiscenti e poco attrezzati senza curarsi delle condizioni meteo che questi troveranno una volta partiti: il racconto fatto dai migranti durante la richiesta di soccorso ha dipinto uno scenario simile.
L’obbligo di soccorso
Simili circostanze sono ovviamente normate dal diritto internazionale. Infatti, l’obbligo di salvataggio in mare della vita umana è un principio consuetudinario formatosi negli anni e che è diventato la base per tutte le convenzioni in materia, redatte dagli Stati al fine di creare un comune framework normativo. Principalmente esistono tre accordi internazionali che vanno citate a riguardo: la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (abbreviata in SOLAS, 1974), la Convenzione sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (SAR, 1979) ed infine la Convenzione ONU sul Diritto del Mare (UNCLOS, 1982). Il principio dell’obbligo di soccorso emerge come risultato di questi accordi. In particolare, l’articolo 98 UNCLOS e il Capo V della SOLAS pongono in capo al comandante di una nave l’obbligo di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita e di intervenire qualora egli riceva notizia della presenza di persone in pericolo. L’articolo 98 UNCLOS si addentra ancora di più nella materia sottolineando l’obbligo da parte degli Stati di mantenere un adeguato presidio finalizzato alla ricerca e al soccorso, nonché l’esortazione a formare, qualora si rendesse necessario, nuovi accordi ad hoc a livello regionale, sia bilaterali che multilaterali. Accordi simili sono stati presi negli anni passati anche dall’Italia, basti pensare ai Protocolli di Palermo del 2000 o all’accordo stipulato con la Libia nel 2007.
Cosa non sta funzionando
Nonostante la forte ossatura normativa su cui si regge la materia continuano ad esserci notizie come quella riportata oggi. Evidentemente c’è una parte del meccanismo che non funziona correttamente, tanto da compromettere la sicurezza delle persone che si ritrovano a transitare attraverso il Mediterraneo. Se in altri ambiti è la mancanza di sanzioni a rendere le norme inefficaci, in questo caso non è così. Infatti in caso di inosservanza esiste il modo di punire i trasgressori: lo Stato italiano ha ad esempio integrato nel suo Codice di Navigazione l’articolo 1158, che prevede addirittura periodi di reclusione variabili a seconda della gravità dei danni subiti da coloro che non hanno ricevuto soccorso. L’individuazione della causa che continua a rendere inefficaci le convenzioni e ad esporre al pericolo migliaia di persone ogni anno è sicuramente difficile, essendo essa probabilmente intrecciata con la politica nazionale e internazionale. La speranza va dunque riposta nelle grandi organizzazioni internazionali, in primis l’Unione Europea, con lo scopo di navigare verso un orizzonte che preveda un piano comunitario di risposta ai flussi migratori marittimi per arginare il numero di vittime, contrastare i trafficanti di uomini ed agire per il maggior interesse esistente, quello di salvaguardare la vita.