Gli spunti per comprendere appieno la questione del sequestro di persona vengono dati dalla Convenzione ONU sul diritto del mare.
Il diritto internazionale pone delle regole per normare gli sbarchi e i passaggi attraverso le acque territoriali degli Stati. Con l’analisi di queste regole capiremo meglio la richiesta del PM affinché non si proceda nei confronti di Salvini.
Il caso Gregoretti
È notizia recente quella che parla degli sviluppi del possibile processo nei confronti dell’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per non aver permesso lo sbarco di coloro che si trovavano a bordo della nave della Guardia Costiera Gregoretti. Nel luglio 2019 l’allora Ministro si oppose allo sbarco sfruttando i poteri conferitigli dal cosiddetto “decreto sicurezza”, ritardando la discesa a terra di decine di migranti e degli operatori della Guardia Costiera. A maggio sono attese le decisioni del giudice, ma quel che è importante sottolineare oggi è che nel corso dell’udienza preliminare il PM ha chiesto il non luogo a procedere, cosa che implicherebbe la caduta delle accuse mosse a Salvini. Secondo il PM Bonomo non sussisterebbe il fatto, non essendosi verificati gli estremi per configurare il reato di sequestro di persona. Nel corso dell’udienza è stato altresì sottolineato come non sia stato fatto mancare nulla ai passeggeri della nave sia in termini di sostentamento che di assistenza sanitaria: l’autorizzazione allo sbarco sarebbe stata negata per lanciare un segnale a livello europeo al fine di smuovere la politica comunitaria di gestione delle migrazioni, mossa peraltro condivisa dall’orientamento politico del governo dell’epoca. Si puntualizza inoltre come nessuna delle convenzioni internazionali sia stata violata.
La Convenzione di Montego Bay
Le norme internazionali a cui si fa riferimento sono contenute nella convenzione di Montego Bay, ossia un trattato delle Nazioni Unite con focus specifico sul diritto del mare datato 1982. La prima cosa da mettere in luce è la definizione di transito inoffensivo (fornita dal trattato) da mettere in contrapposizione con la nozione di sbarco vero e proprio. L’articolo 17 della Convenzione di Montego Bay considera un diritto di ogni Stato quello di transitare nelle acque territoriali di uno Stato costiero, dove l’inoffensività è data dal non arrecare minacce alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. La convenzione prosegue nel suo articolo 19 elencando quali situazioni possano rivelarsi un ostacolo che impedisca che il transito sia inoffensivo. Tra i vari elementi si considera un impedimento anche il carico o lo scarico di persone in violazione delle leggi sull’immigrazione vigenti nello Stato costiero. In poche parole a Montego Bay non si è andati a definire direttamente una nozione di sbarco ma si sono definiti gli elementi che pregiudicano il transito, che per definizione avviene in una frazione di tempo antecedente allo sbarco stesso. La libertà decisionale dello Stato costiero è inoltre maggiormente rafforzata se si devono prendere decisioni riguardanti navi già site nelle acque di uno dei porti, che sono da considerarsi a tutti gli effetti acque interne alla pari di fiumi e laghi, dove giocoforza l’autorità dello Stato è massima.
La legislazione interna
Stando a quanto visto finora il diritto del mare non è abbastanza specifico nel definire cosa possa legittimare il divieto di sbarco, in quanto sono coinvolte anche le leggi interne dello Stato costiero di riferimento. In particolare, il decreto sicurezza allora in vigore aveva inserito all’interno del cosiddetto Testo Unico sull’Immigrazione un comma aggiuntivo all’articolo 11, dove si affermava l’autorità del Ministro dell’Interno di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale sulla base di eventuali violazioni da ricercarsi nell’articolo 19 della Convenzione di Montego Bay. Risulta comunque evidente che, in conclusione, questo mix tra diritto interno e convenzioni internazionali possa portare a situazioni potenzialmente paradossali: garantire un obiettivo come l’assistenza ai migranti potrebbe ad esempio minare un altro obiettivo, ossia la lotta alla criminalità organizzata e alla tratta di essere umani. Per quanto riguarda la questione del processo all’ex ministro sarà il tribunale a stabilire se ci siano o meno gli estremi a procedere: resta comunque fermo il fatto che all’epoca la situazione fosse quantomeno di difficile interpretazione considerando l’indirizzo politico del governo italiano, le norme internazionali e quelle di diritto interno.