Scoperta una nuova regione cerebrale che ci rende “più umani”

Grazie allo sviluppo di migliori tecnologie nella ricerca e nella medicina, anche lo studio cellulare di un sistema complesso e articolato come quello nervoso è reso possibile. Sebbene il prof. George Paxinos, anatomista del Neuroscience Research Australia (NeuRA), sospettasse da tempo dell’esistenza di una nuova regione cerebrale grazie alla sua attività anatomica, solo ora ha potuto dimostrarlo grazie alle tecniche di neuroimaging. In particolare, ha analizzato i neuroni in base alla loro funzione e non alla morfologia, studiando le concentrazioni di enzimi.

Nucleo endorestiforme

Indicato con la freccia il nucleo endorestiforme (fonte: NeuRA)

Il suo studio è spiegato nel suo libro Human Brainstem: Cytoarchitecture, Chemoarchitecture, Myeloarchitecture nel quale specifica anche il nome dato alla nuova regione: nucleo endorestiforme. Il nome deriva dal fatto che esso è contenuto all’interno (“endo”) del peduncolo cerebellare inferiore (o corpo restiforme). Quest’ultimo contiene fibre nervose, ovvero fasci di assoni, che connettono il bulbo (una parte del tronco encefalico) al cervelletto. Proprio qui, nel cervelleto, vengono unite le informazioni che giungono dalla corteccia cerebrale e dal midollo spinale e tronco encefalico. Quindi quest’organo integra le informazioni riguardo al voler compiere un’azione (dalla corteccia cerebrale) e alla posizione del corpo nello spazio (dal midollo spinale). Così il movimento può avvenire correttamente. La particolarità della regione scoperta da Paxinos è che permetterebbe di compiere movimenti molto fini e dettagliati, tipici dell’uomo. Infatti, questo tipo di neuroni non è stata riscontrata per ora in altre specie animali.

Rilevanza contro le malattie

Comprendere al meglio l’organizzazione delle fibre nervose che controllano il movimento permette certamente di attuare strategie terapeutiche migliori contro tutte le patologie che coinvolgono le vie motorie. Patologie come la malattia di Parkinson sono tutt’ora incurabili e necessitano di scoperte come queste per essere comprese al meglio. Ora è impossibile determinare quali effetti avrà questa ricerca sulla terapia e la clinica, ma è questa la strada che dobbiamo percorrere.

Alberto Martini

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