I quesiti referendari su eutanasia e cannabis sono stati giudicati inammissibili, dando luogo ad aspre critiche sul significato stesso di democrazia. Tuttavia, tanto la Corte Costituzionale quanto il Comitato promotore sembrano avere le loro buone ragioni. Vediamole assieme.
Il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato è intervenuto in conferenza stampa il 16 febbraio per comunicare e illustrare le scelte della Consulta, e per chiarire le ragioni che hanno portato alla bocciatura dei quesiti.
LA POSIZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
L’obiettivo del quesito referendario sull’eutanasia era depenalizzare l’omicidio del consenziente, con alcune eccezioni: resta un reato se si tratta di un minore e in questo caso si applicano le pene previste per l’omicidio. Per quanto riguarda la proposta di referendum sulla cannabis, essa chiede di cancellare le pene, ad oggi carcerarie e pecuniarie, per chi coltiva cannabis, nonché la sanzione amministrativa della sospensione della patente. Entrambi i quesiti sono stati giudicati dalla Consulta inammissibili, in quanto vulnerabili e permeabili.
Secondo la Corte Costituzionale, il referendum sull’eutanasia legale non tutelerebbe la vita umana, e in particolar modo quella delle persone deboli e vulnerabili. In sintesi, il quesito così formulato aprirebbe all’impunità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra. Parimenti, il referendum sulla cannabis aprirebbe alla libera coltivazione di piante le cui sostanze derivabili sono incluse tra le cosiddette droghe pesanti, ovvero papavero e coca. Per la Consulta, questo avrebbe portato alla violazione di obblighi internazionali.
In primavera non si voterà dunque né sull’eutanasia né sulla cannabis. In accordo con la Corte Costituzionale, sembra trattarsi di un problema di forma più che etico, ragion per cui entrambi i quesiti andrebbero riformulati e soprattutto ridimensionati. Il tema dell’eutanasia andrebbe ristretto alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono, e così il testo sulla cannabis alla sola pianta in oggetto.
LA REPLICA DEL COMITATO PROMOTORE: UN COLPO ALLA DEMOCRAZIA
Per Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, l’inammissibilità del quesito per l’eutanasia legale è una brutta notizia, soprattutto se si pensa a coloro che subiscono e continueranno a subire i lunghi tempi della burocrazia e della giustizia italiana: “Una brutta notizia per la democrazia”. Della stessa opinione è Leonardo Fiorentini, promotore del referendum sulla cannabis: “Il nostro quesito referendario sulla cannabis era corretto e non apriva a oppio e cocaina. È la legge sulle droghe a essere scritta malissimo” [obbliga a fare riferimento a tabelle di sostanze stupefacenti che oltre alla cannabis comprendono le cosiddette droghe pesanti n.d.r.]. Per quanto riguarda le reazioni politiche, Riccardo Magi, deputato e presidente di Più Europa che si è battuto in prima linea per il referendum, considera la bocciatura dei quesiti “un colpo durissimo per la democrazia in Italia”, facendo riferimento alle oltre 600 mila firme raccolte. Durissima anche la replica del Comitato promotore unito del quesito sulla cannabis, di cui fanno parte, tra gli altri, l’associazione Luca Coscioni, Meglio Legale e il Forum Droghe: “Si è persa l’unica occasione di cambiare le leggi sulle droghe che in questo Paese nessuno ha il coraggio di toccare, nemmeno chi dice di voler riformare la giustizia”. Il Comitato promotore ha già annunciato che non si lascerà fermare da questa bocciatura e andrà avanti con iniziative tanto giudiziarie quanto politiche.
LE RESPONSABILITÀ DEL PARLAMENTO
Nel tentativo di conciliare entrambe le posizioni, quella della Corte Costituzionale e quella del Comitato promotore dei quesiti referendari, può essere utile riprendere l’etimologia e il significato dei termini democrazia e referendum. Il primo deriva dal greco dēmokratía, un composto di dêmos, popolo, e del tema di kratéō, comando, ed è un sostantivo femminile che ha come primo significato quello di forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo, tramite rappresentanti liberamente eletti [sia essa indiretta o rappresentativa n.d.r.]. Il secondo termine deriva dalla locuzione latina (convocatio) ad referendum, letteralmente ‘(convocazione) a riferire’, ed è un sostantivo maschile che indica lo strumento democratico di appello al corpo elettorale affinché si pronunci con una decisione su singole questioni [sia esso di tipo abrogativo, propositivo, consultivo n.d.r.].
Sempre Giuliano Amato, ospite della nota trasmissione condotta da Giovanni Floris, il 22 febbraio ha dichiarato: “Il popolo siamo 60 milioni di cittadini italiani, i promotori di un referendum anche se hanno raccolto centinaia di migliaia di firme, non rappresentano il popolo”. Riprendendo le sue parole e la definizione dei termini sopra riportati, viene dunque da chiedersi chi garantisca la sovranità popolare nel nostro paese. Chi se non il Parlamento? In democrazia, se il Parlamento, che é esso stesso uno strumento democratico al servizio dei cittadini, non funziona, allora il popolo non è sovrano. Come sottolineato dallo stesso Amato, il Parlamento possiede tutti gli strumenti per trasformare in legge le proposte dei cittadini, facendosi così portatore e promotore della sensibilità di una nutrita parte della popolazione.
Come caldeggiato da Giuseppe Conte, leader M5s: “Vista la grande partecipazione della popolazione su questi temi [cannabis ed eutanasia n.d.r.], questa attesa non può rimanere inevasa ed è bene che il Parlamento si assuma le sue responsabilità”. Si auspica dunque che siano gli stessi parlamentari a farsi carico delle istanze delle popolazione, dunque a “convocare” e “riferire” in aula circa queste tematiche, così da porre finalmente rimedio a questa annosa questione. In ballo vi sono i diritti dei cittadini.