Analizziamo come la Morte, conosciuta come L’Arcano senza nome, il Mondo, il Matto e gli altri Tarocchi originino scenari mistici.
Le carte dei Tarocchi, che affascinano e spaventano al tempo stesso, sono alla base della narrazione de “Il castello dei destini incrociati” di Calvino che va creando un potente effetto visionario dalle molteplici chiavi di lettura.
I TAROCCHI NON PREVEDONO IL FUTURO MA GUARDANO NEL TEMPO
Tutti abbiamo sentito parlare dei Tarocchi, un mazzo di 78 carte da gioco di cui è però difficile ricostruire il regolamento originario. La loro origine è ancora oggi incerta, le prime tracce dell’esistenza dei Tarocchi sono riscontrabili in documenti appartenenti al XIII secolo: si tende uniformemente a credere che siano stati importati in Europa tramite l’avvento dei Mamelucchi, in un formato molto simile a quello delle odierne carte da briscola, costituito dunque da quattro semi: spade, coppe, denari e mazze da polo (i nostri bastoni). Incisi ora su pergamena ora su legno, i Tarocchi destarono la curiosità di numerosi artisti e xilografi, tra i quali Andrea Mantegna che, nel XV secolo, realizzò ben due serie da 50 incisioni ciascuna. Il gioco si diffuse con rapidità in Europa: da Bologna con i “Tarocchini bolognesi” alla nascita delle “Minchiate” fiorentine per diffondersi poi in Francia, Svizzera e Germania e oltre con varianti sempre più particolari e volubili. Oggi, pensando ai Tarocchi, ci viene istintivo tracciare una linea di connessione con l’occultismo e la cartomanzia; proprio nella Bologna del XVII secolo, si è cominciato ad usare il mazzo di carte per la divinazione e per dare voce al sovrannaturale. Tramite le loro opere, i due esoteristi Antoine Court de Gébelin e Etteilla sostenevano che i Tarocchi fossero la trasposizione in immagini codificate dei libri di Thot, che, secondo la credenza egizia, contengono predizioni su eventi futuri e mistici impossibili da spiegare se non per la volontà di un implacabile dio.

“IL MONDO SI LEGGE ALL’INCONTRARIO. TUTTO E’ CHIARO”
Maestro dell’ambiguo è Calvino che nel suo secondo periodo di attività letteraria si avvia verso una scrittura volta a trasformare il normale in fantastico, non a caso questa svolta è segnata da “Le cosmicomiche” (1965) e “Ti con zero” (1967), composti in un periodo di forte interesse per le teorie scientifiche riguardanti la nascita e la costituzione del cosmo. E’ proprio ne “Il castello dei destini incrociati” (1969) che il cosmo si presenta come combinazione degli eventi possibili, dove si mette in luce il fatto che la scienza del periodo non vada rivelando certezze ma sollevando problematiche. Il percorso narrativo del Castello, così come per “La taverna dei destini incrociati”, sua appendice del 1973, è dato dalla concatenazione e dalla combinazione del possibile determinata dalle immagini rappresentate sulle carte da gioco dei Tarocchi del mazzo Visconteo per l’uno, più aristocratico e posato, e il mazzo di Tarocchi Marsigliese per l’altra, più popolare e caotica. Calvino narra la storia di un gruppo fortuito di viandanti che hanno perso la facoltà di parola, e dunque per esprimersi e raccontare le loro storie fanno uso delle varie carte disposte sul tavolo: le storie si sovrappongono, si mescolano e si confondono in maniera inestricabile con le immagini che le rappresentano. In questo processo narrativo si evince la convinzione calviniana che la letteratura possa racchiudere in sé il reale, seppur in un modo caotico e confusionario che spetta all’io-scrittore ricomporre.
“ALL’ORIGINE DI OGNI MIO RACCONTO C’ERA UN’IMMAGINE VISUALE”
Lo stesso Calvino ha sottolineato quanto spesso impieghi soluzioni visive nella propria scrittura: egli vuol fare esaltare “figure e fantasia” come si può notare ne “Il sentiero dei nidi di ragno” (1947). Vuole privilegiare lo sguardo per mettere in moto una riflessione, è così per il Visconte dimezzato, per colui che si sposta di albero in albero nel “Barone rampante” o per la corazza vuota del Cavaliere inesistente. Sarà poi con “Le città invisibili” (1972) e “Palomar” (1983) che la scrittura si allontana con una forza ancora maggiore dalla realtà: all’osservatore non resta che cercare di avere un’idea di come il mondo sia fatto, con uno sforzo ostinato che mai gli permetterà di carpire l’essenza del vero. E’ così che ci si può ricollegare alla frase citata dall’autore in uno dei racconti del “Castello dei destini incrociati”, ne “L’Orlando pazzo per amore” si asserisce, con consapevolezza, che ora tutto è chiaro e che il mondo intero si legge al contrario.