Quando il genio non basta: da Kubrik a Christopher Nolan

La genialità – d’n artista, d’n filosofo, d’no scrittore, d’n condottiero o d’n personaggio storico – ha sempre affascinato la filosofia. Si è interrogata sulla sua origine, sulla sua esistenza ontologica, sulla sua veridicità in contrapposizione alla follia, come mancanza di ragione e dunque di giudizio. Il denominatore comune fu la perenne contrapposizione con la tecnica, intesa in senso lato come la capacità dell’uomo di creare artifici utili alla modificazione della natura per un migliore sostentamento.

Genio e tecnica in filosofia

Dalla Grecia antica fino al Novecento passando da personaggi come Eraclito e Nietzsche, tanti sono stati i pensatori scettici o meno a confrontarsi in questa contrapposizione. Da una parte esiste colui che grazie alla propria inventiva e tensione anticonformistica ovvero il genio, riesce a sorvolare su tutti e tutto. Non conta il tempo, lo spazio, la condivisione, le teorie, ogni cosa è messa in discussione e l’obiettivo è la radicalizzazione d’un idea, quasi come se fosse una profezia.

In opposizione invece c’è la tecnica. Ciò che per definizione riguarda l’esercizio pratico di un’arte o di una scienza composto da strumenti, macchine e oggetti, da entità fisse una volta inventate. Un motore può evolvere, cambiare combustione, fonte di energia ma non la necessità di energia. Può sostituire ed essere sostituito senza essere eliminato. Infatti, la velocità d’evoluzione della tecnica cresce sempre più e non perché l’uomo si è fatto più intelligente ma perché ha conoscenze pregresse e radicate capaci al punto di aumentare la spinta inventiva.

Assistiamo all’intelligenza creativa contro l’intelletto scientifico, all’intellegibile contro lo strumento, al fuoco inconscio dell’arte contro l’aridità degli ingranaggi, al logos duttile contro la macchina incapace, al fine contro il mezzo; come a personificare lo scontro endemico dell’umanità.

Genio e tecnica nel cinema

Nel mondo artistico rispetto al pensiero filosofico il connubio tra tecnica e genio si fa più sentire. I casi più eclatanti possono essere ricondotti a Michelangelo ad esempio, che con lo scalpello riuscì a modificare la natura rappresentata dal marmo, nell’emblema dell’arte scultoria con il David. È come se fosse riuscito a dare un’anima a ciò che per essenza non è altro che uno strumento. Il genio riesce infatti a utilizzare ciò che ha per creare qualcosa di innovativo. Il mezzo si riassume nell’atto creatrice e non resta solo come entità esterna.

Nel cinema avviene lo stesso almeno per alcune personalità: per coloro che in quanto geni riescono a utilizzare il mezzo del presente per proiettarci nel futuro. L’unica realtà temporale che viene scartata è il passato ma non per rifiuto, semmai perché lo si conoscere troppo bene e si ha l’esigenza di superarlo. Anche in campo filosofico è quando c’è un bisogno che l’uomo si muove verso nuove sponde perché in una condizione di stabilità gli individui tendono alla tradizione. Potremmo affermare che un genio è colui che non si accontenta, l’individuo che sente il bisogno d’innovazione continuo soffocando la prudenza e il focolare della realtà storica e culturale in cui è nato.

Kubrick e Nolan

Nel cinema tutto questo è rappresentato da due personalità diverse tra loro e vissute in contesti storico-culturali differenti: Kubrik e Nolan. Il primo è considerato il pioniere del cinema Novecentesco con i suoi capolavori. Già tra le prime pellicole come Spartacus del 1960 riuscì ad emergere con una nota stilistica diversa. Aveva dei modelli e gli utilizzò come se fossero quelle cornici antiquate che si immettono a quadri che nulla di ciò rappresentano. Fino ad arrivare ai suoi tre più grandi capolavori: Shining, 2001: Odissea nello spazio e Arancia meccanica.

Tre icone di generi narrativi differenti: un horror rivisitato in chiave schizofrenica; un fantascientifico con finale filosofico e uno che non si è ben capito cosa fosse ma prova della genesi dell’uomo contemporaneo. Personificò ciò che era stereotipato, andando oltre. Come il Christopher Nolan dei giorni nostri, che riuscì a mutare lo stile del genere cinematografico ad esempio più basico e a tratti scontato del fantasy d’azione dei supereroi. Il cavaliere oscuro infatti con la figura del Joker ne è l’icona. Ha portato per l’appunto sul grande schermo riflessioni filosofiche come il nulla, l’anarchia, la manipolazione sociale, le istituzioni nell’eterna lotta fra male e bene dove il male perde sempre o trasmuta nel bene mascherato.

Inoltre, un’impresa quasi impossibile sfidando la fisica si ebbe con Interstellar, mostrando forse il punto di massima vicinanza con Kubrik. Un’opera che forse di base scientifica ancora oscilla ma chissà se fra cinquant’anni sarà ancora così. E infine con Dunkirk, un film di guerra, altro genere difficile da modificare nella sua trama e svolgimento narrativo. Gli bastò dividerlo in tempi e spazi differenti e intrecciati tra loro per non mostrarci solo pallottole e fuoco. Utilizzò l’antitesi della guerra con il silenzio e la calma prima dell’abisso e forse ce lo ha reso più realistico, mostrandoci l’umanità.

Oltre il genio

Potremmo concludere dicendo che il genio forse non è che l’abilità coscia e inconscia non semplicemente di distruggere l’ostacolo di fronte, ma di mutarlo dall’interno, di superarlo utilizzando ciò di cui si nutre. È come avere il proprio nemico di fronte e sapere che per annientarlo non serve la forza ma la conoscenza. Un genio conosce la tecnica, l’apprezza alle volte e l’unico modo per distruggerla è panizzandosi con essa diventando qualcosa di diverso senza lasciare tracce.

                                                                                                                                                                  

                                                                                                                                                                Simone Pederzolli

 

 

 

 

 

 

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