La pubblicità ha sempre assolto lo scopo di spostare l’attenzione della gente in una direzione utile a chi le crea, vediamo come questo meccanismo nasce e viene sfruttato.
La pubblicità non serve a vendere un prodotto, ma a vendere un idea, e dietro questa filosofia i grandi marchi di quasi ogni settore hanno aderito ad una campagna di sensibilizzazione all’allontanamento sociale, modificando i loro loghi separandone le singole parti. E quindi i due archi dorati che formavano la M di MacDonald ora sono separati e distanti, la W della Volkswagen ora divisa in due V e tanti altri esempi di inventiva pubblicitaria sono stati applicati da altrettante altre aziende. Ma il marketing è parte arte, parte scienza, ed il motivo dietro questa decisione non è tanto l’interesse dell’azienda nel far trasparire il messaggio della necessità della separazione, ma vendere un idea, che le compagnie sono attivamente in campo a combattere questa emergenza. Perchè questo è lo scopo di una buona campagna pubblicitaria renderci simpatiche aziende senza volto con più soldi di quanti noi riusciremmo a spendere in una vita.
Vecchie Teorie Pubblicitarie
Ora voi potreste dirmi: “Ma le pubblicità non servono a vendere i prodotti?” e la risposta è, dipende. Esistono sostanzialmente due scuole di pensiero. Secondo la “Teoria Forte della Pubblicità” si. La pubblicità infatti secondo i suoi sostenitori, influisce in modo incisivo sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei consumatori, riesce a manipolare, senza che il consumatore ne sia consapevole, la sua volontà, considera il consumatore passivo e sostanzialmente stupido ed è in grado di incidere sia sulle vendite di singole marche sia sulla vendita di interi settori merceologici
Ebbene, sulla base di molti studi sui rapporti tra pubblicità e vendite si può affermare che è lecito avere dei seri dubbi sui principali assunti di questa teoria, perché la maggior parte dei prodotti nuovi lanciati sul mercato non ha successo, nonostante il forte appoggio della pubblicità, le vendite attribuibili direttamente alla pubblicità sono spesso modeste e nel settore dei beni di largo consumo, gli acquisti vengono effettuati con sorprendente regolarità e prevedibilità. Il consumatore quindi, tende a costruirsi una sorta di repertorio di marche relativamente stabile, al quale attinge di volta in volta con larga discrezionalità
Teoria debole
Alla luce di queste considerazioni è allora forse più plausibile una teoria che ridimensiona, e non poco, il potere della réclame: si parla infatti di “Teoria Debole” o “Teoria degli Effetti Limitati della Pubblicità” secondo la quale, invece, la pubblicità aumenta le conoscenze del consumatore, anche se questo tende prevalentemente ad esporsi alla pubblicità dei prodotti che già acquista, poiché la pubblicità non è in grado di convertire le convinzioni né di vincere le resistenze dei consumatori ed è quindi più efficace quando viene impiegata per funzioni di rinforzo che non di allargamento del mercato. A ciò si può aggiungere la seguente constatazione nel tempo, al crescere degli investimenti pubblicitari, rimangono costanti sia i soldi spesi in prodotti, sia i tipi di prodotti acquistati dai consumatori: quello che invece varia è la marca di quei prodotti. La teoria è meglio sintetizzata dalla frase «la pubblicità non sceglie per nessuno, permette solo di scegliere meglio».
La forza nascosta della pubblicità
La forza di una campagna pubblicitaria infatti da molto tempo non si misura più in quanti prodotti in più riesce a far vendere, ma in quante persone hanno un immagine positiva di qualunque cosa sia che si sta cercando di pubblicizzare. Pubblicità commerciale e Propaganda politica, infatti camminano sugli stessi binari, Edward Bernays, un noto pubblicitario, nel suo libro “Propaganda” ne parla dicendo : «coloro che hanno in mano questo meccanismo costituiscono il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. Sono loro che manovrano i fili…». La sua campagna per la American Tobacco Company negli anni venti, per incitare le donne a fumare, consistette per esempio nell’associare visivamente in maniera costante la sigaretta e i diritti o la libertà della donna. O i noti manifesti durante le guerre che imponevano un immagine di virilità e forza sui nostri soldati, e un’ombra di malvagità su quelli dello schieramento opposto, non era certo volta a convincere più persone ad arruolarsi, ma a stampare subdolamente l’idea di essere dalla parte del giusto nella mente dei cittadini, convincendo la popolazione che la guerra fosse giusta e quindi a resistere.
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