Esistono cinque concetti fondamentali, che con la loro spiegazione possono aiutarci a comprendere, anche se in generale, la morale antica.
Nonostante, secondo l’opinione di molti studiosi la filosofia morale ci sia sempre stata, si deve prevalentemente a Platone ed Aristotele la sua riproposizione come indagine formale e logica, capace così di donargli un senso compiuto e cronologico.
Ethos, tra educazione e libertà
I significati di questo termine sono molteplici, ma possono essere ricondotti a due rami principali. Ethos (E lunga) viene ricondotto a “carattere”, mentre ēthos (E breve) assume il significato di “abitudine“. Questo termine, dal duplice significato, ci fa comprendere come la morale per gli antichi greci avesse valore caratteriale e abitudinario. Secondo Platone il carattere (Ethos) è dato dall’abitudine (ēthos). Per questo, secondo la sua opinione l’educazione deve cominciare precocemente, imprimendo nell’essere di ciascun individuo determinate abitudini che favoriscano così il suo sviluppo morale e civico. La rilevanza etica dell’abitudine viene ripresa anche da Aristotele, che la considera come parte essenziale per raggiungere la virtù. Infatti, la virtù è data dal ripetersi costante di un’azione in grado di trasformare così il carattere di una persona. Chi è un coraggioso, se non una persona che non esita mai a fronteggiare il pericolo?
Agathon, l’eccellenza che diventa virtù
Inizialmente visto come un bene, non morale, ma utilitaristico, Agathon rappresentava un’eccellenza umana in un determinato campo. Successivamente Agathon diventerà una parola chiave dell’etica antica, in grado di far coincidere l’utilità con la morale. Infatti, grazie a Socrate e Platone, nascerà un’etica deontologica, dove fare il bene coinciderà anche con il ricercare il vantaggioso per se stessi. Infatti, secondo Socrate, ogni uomo persegue il bene per sè. Coloro che fanno del male, lo attuano solo per ignoranza, credendolo erroneamente il bene.
Kalon, il bello morale
Questo significato, in grado di fondere insieme in una simbiosi quasi perfetta etica ed estetica, sembra coincidere diverse volte con Agathon, il bene vantaggioso. Tuttavia, non sempre. Morire in battaglia per la propria polis è una bellezza morale, ma di sicuro non è vantaggioso. Tuttavia, questi due termini sembrano coincidere molte volte, dando origine così ad una nuova parola: Kalokaghatos, un’eccellenza estetica e morale.
Arete, tra eccellenza e virtù
Tradotta da Cicerone come Virtus, e corrispondente all’odierno significato di virtù, l’arete è una parte fondamentale dell’etica antica. È la chiave di volta in grado di aprirci le porte del bene e dell’etica stessa. Vista come un’eccellenza morale e non utilitaristica, viene ricondotta da Aristotele ad uno stato abituale dell’uomo retto. Il virtuoso è colui che acquista, tramite abitudine, la giusta medietá tra due estremi. Ad esempio, il coraggio è una disposizione abituale posta a metà tra viltá e temerarietà. É l’arete, ad essere al centro dell’etica antica, permettendone così lo sviluppo. Tramite abitudine si forgia il carattere. Tramite il carattere e l’eccellenza si ricerca l’arete, che è utile moralmente è bella. Tuttavia, a cosa porta l’arete?
Alla ricerca dell’eudaimonia
Per Eudaimonia, si intende la felicità, ma in cosa consiste? L’anima, nel Timeo di Platone viene divisa in diverse parti. L’uomo che è in grado di coltivare la sua parte razionale, ovvero la parte più divina e immortale, sarà uno dei pochi ad avvicinarsi alla felicità. L’eudaimonia diviene così inseparabile dal bene e dalla virtù, fondendosi con esse. Aristotele, ricercando un significato più pratico della felicità, la identifica con il bene sommo, desiderato non in vista di altro ma per se stesso. Attraverso l’azione, che se indirizzata verso il bene porta alla virtù, riusciremo, anche se con fatica, a raggiungere la felicità. Una felicità che riesce a far coincidere, in un connubio perfetto, benessere individuale e collettivo.
L’uomo che riuscirà ad aiutare gli altri, aiuterà anche se stesso.