Pet Sematary è il nuovissimo film partorito dal romanzo del 1983 di Stephen King, remake del già celebre film dell’89 Cimitero vivente.
Per chi apprezza lo stile di King o per chi ama gli horror ed i thriller pieni di jumpscare, Pet Sematary sembra non voler deludere le aspettative.
La storia racconta di una neotrasferita famiglia da Boston ad una cittadina provinciale del Maine, padre medico, mamma casalinga, bambina e bambino carini, allegri e giocosi ed un micio affettuoso a cui tutti sono molto legati.
Il primo incontro di Ellie, la figlia, con uno strambo vicino avviene in un suggestivo cimitero degli animali, dove da generazioni gli abitanti del luogo trovano rifugio per i deceduti compagni di vita ed i bambini intrattengono stani riti per dirgli addio, oltre il cimitero, un’alta carcassa di legname segna la zona, come una muraglia.
Ma la casa non è in una posizione così privilegiata nello spazio: non molto lontano dal portico si stende una pericolosa strada dove i camion non si curano di alcun codice stradale, procedendo a velocità pazze, uno di questi, un giorno, decide di far fuori il micio che viene ritrovato dal vicino Jud.
Mamma e papà dovrebbero quindi dire ai pargoli che l’amabile Church è passato a miglior vita, ma, se Louis ha un carattere analitico, ed accetta l’irrimediabile morte come una cosa naturale a cui nessuno può fuggire, Rachel è ancora profondamente segnata dal ricordo della sorella deforme, morta per una sua svista quando erano bambine.
Conclusione? Diciamo che il micio è scappato, perchè la morte è un tema troppo grigio da trattare, ignoriamola e rimandiamo l’argomento a quando i pargoli saranno più grandi.
Per la prima legge della stupidità negli horror, Jud non vuol vedere soffrire la piccola Ellie, tanto legata al gatto, e porta quindi Louis oltre la barricata, in un luogo mistico in cui seppellire il gatto che, magicamente, ritorna in vita la mattina seguente, naturalmente in versione zombie che tenta di ammazzare tutti.
Mamma non capisce come sia possibile, papà capisce che è arrivato il tempo di far fuori il gatto per la seconda volta, ma il ricordo di tutti i bei momenti passati con lui lo placa, optando per l’abbandono in mezzo alla strada, alla vigilia del compleanno di Ellie.
Ellie, naturalmente, è distrutta, gatto nuovamente “smarrito”, compleanno rovinato, se non fosse che, proprio mentre un camion sta viaggiando ad una velocità considerevole, Church si palesa in mezzo alla strada, Ellie corre felice verso di lui e passa anche lei a miglior vita.
Per la seconda legge della stupidità negli horror, Louis è distrutto per la morte della figlia, cosa decide di fare allora? Naturalmente la seppellisce nel luogo mistico da cui torna in vita.
Il tutto condito da strane visioni della signora Rachel sulla sorella affetta da meningite cerebrospinale.
Vi lascio immaginare il seguito.
La cosa che colpisce è il fatto che l’amorevole King abbia scritto il libro originale proprio per spiegare la morte ai propri figli, forse non riceverà il premio come miglior papà dell’anno, ma ci dà una sensazionale doppia visione del personaggio di Louis.
Il padre, in realtà non troppo intelligente nelle sue scelte, inizialmente vorrebbe far capire alla figlia che la morte è qualcosa di totalmente naturale, che non dovrebbe essere temuta e dovrebbe essere accettata, la vita senza la morte non avrebbe nessun significato e, che si creda o no nell’esistenza di un aldilà, l’interrogativo del “c’è qualcosa dopo?” e l’impossibilità di avere una certezza sull’una o sull’altra teoria, dovrebbe spingere ogni essere vivente a vivere al massimo la propria esistenza fino alla fine.
La seconda immagine che ci viene presentata è però quella di un padre distrutto, che si rimangia tutto ciò che aveva cercato di spiegare alla figlia, tentando di avere ancora un pò di tempo con lei, anche se sa che non potrà mai più essere come prima.
Forse il messaggio di King potrebbe essere quello che in realtà non esiste un vero e proprio modo per affrontare la morte, perchè, purtroppo, soprattutto quando siamo costretti a dire addio ad una persona cara, le nostre difese cedono e ci ritroviamo in un baratro di dolore.
Non sappiamo come, non sappiamo quando, ed è per questo che dovremmo cercare di vivere la vita nel modo più sereno possibile, perchè altrimenti, lasciarsi soggiogare dalla paura di un ignoto, vivere sotto una campana di vetro, ci condannerebbe a scontare la morte nella vita.
Forse non c’è un modo giusto od uno sbagliato per spiegare la perdita, sinceramente è difficile capire se sia peggio vivere per sempre o andarsene quando arriverà il proprio momento, solo una cosa è certa: oggi, in questo momento siete vivi.
E allora, il mio consiglio è quello di vivere appieno la giornata, la settimana, la vostra vita, e se un giorno, dopo la morte, ci sarà un qualcosa, potrete essere fieri del lavoro svolto, altrimenti, potrete esserlo fino all’ultimo momento.
Alice D’Amico