Oggi la befana ci porta poesia! Ecco cosa hanno scritto sull’epifania tre celebri scrittori

Una festa, tre poesie: le parole dedicate a questa giornata da tre celebri autori della nostra letteratura.

Quella dell’Epifania è una festa cristiana che celebra la manifestazione della divinità, che avviene simbolicamente mediante una stella. Il termine deriva dal greco e la celebrazione cristiana è inerente alla solenne visita e adorazione di Gesù bambino da parte dei Magi.
Bene, cosa c’entra con tutto questo quella vecchia Befana che come ci hanno insegnato vien di notte con le scarpe tutte rotte? Ci risponde una leggenda, che narra che nel lungo viaggio per Betlemme i Magi, non trovando la strada, avessero insistentemente chiesto informazioni ad una vecchia signora che non si convinse però ad accompagnarli.
Il convinto rifiuto fu seguito da un forte senso di colpa, e dunque la vecchia preparò subito un cesto di dolci e uscì, consegnandone un po’ a ciascun bambino nella speranza che uno di essi fosse Gesù. Da allora, per farsi perdonare, porta dolciumi a tutti i bambini in giro per il mondo. Questa e altre storie, ciascuna con le proprie varianti, rendono speciale la giornata del 6 gennaio e tutte le tradizioni connesse all’ultima festa del periodo natalizio, quella che tutte le altre si porta via.
Insieme ai dolciumi, oggi vogliamo rendere speciale questo giorno con la riflessione letteraria di tre diversi autori che con tono differente e con diverse parole hanno trattato il tema dell’Epifania.

La befana” di Giovanni Pascoli

Non ha un ruolo attivo, la Befana di cui parla Giovanni Pascoli nella sua poesia. Al gelo viaggia, nella notte, e quello che vede è parte di diversi quadri della società. Vede e sente, la befana. Cosa? Una mamma che sorride, mentre i figli dormono, con i doni che ha preparato per loro. Da un’altra finestra, però, lo scenario è differente: veglia e piange, piange e fila, una madre con poche opportunità di sorprendere i figli al loro risveglio.

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccìo leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale:
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?

Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampana di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.

E che c’è nel casolare?
un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le ceneri e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange, c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.

La Befana” di Guido Gozzano

La befana di Guido Gozzano è descritta attraverso gli occhi sognanti dei bambini. La più bella delle stelle guida i Magi nella notte, mentre una calza appesa attende di esser riempita e la fredda notte offre una visione incantata. Sì, perché come precisa l’autore al termine del componimento, ogni cosa è magica nella gioia dei bambini, che non conoscono il dolore.

Discesi dal lettino
son là presso il camino,
grandi occhi estasiati,
i bimbi affaccendati
a metter la scarpetta

che invita la Vecchietta
a portar chicche e doni
per tutti i bimbi buoni.

Ognun, chiudendo gli occhi,
sogna dolci e balocchi;
e Dori, il più piccino,
accosta il suo visino
alla grande vetrata,
per veder la sfilata
dei Magi, su nel cielo,
nella notte di gelo.

Quelli passano intanto
nel lor gemmato manto,
e li guida una stella
nel cielo, la più bella.

Che visione incantata
nella notte stellata!
E la vedono i bimbi,
come vedono i nimbi

degli angeli festanti
ne’ lor candidi ammanti.
Bambini! Gioia e vita
son la vision sentita

nel loro piccolo cuore
ignaro del dolore.”

Sonetto d’Epifania” di Giorgio Caproni

Disincantato è lo sguardo di Giorgio Caproni sull’Epifania. In un sonetto egli racconta una piazza in festa piena di rumori che non coprono tuttavia il silenzio dell’assenza di chi non c’è più. Nessuna allusione alla Befana o ai Magi, la festa sembra svuotata del suo tradizionale significato: l’unica manifestazione descritta dall’autore è quella di una effigie persa, che si ridesta nel suo cuore.

Sopra la piazza aperta a una leggera 
aria di mare, che dolce tempesta 
coi suoi lumi in tumulto fu la sera
d’Epifania ! Nel fuoco della festa 

rapita, ora ritorna a quella fiera 
di voci dissennate, e si ridesta 
nel cuore che ti cerca, la tua cera 
allegra – la tua effigie persa in questa 

tranquillità dell’alba, ove dispare 
in nulla, mentre gridano ai mercati 
altre donne più vere, un esitare 

d’echi febbrili (i gesti un dì acclamati 
al tuo veloce ridere) al passare 
dei fumi che la brezza ha dissipati.”

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