“If I look at my face, I don’t recognise it” cantava Caparezza nel primo brano del suo ultimo Album, dove esprime tutto il suo disagio nel non riuscire più a riconoscersi, mettendo in crisi la sua identità. Per farlo si riferisce a un curioso disturbo neuropsicologico, chiamato “prosopagnosia”, ovvero l’incapacità di riconoscere i volti. Come se questo non fosse già abbastanza, spesso viene accompagnato da agnosia visiva, ovvero l’incapacità di riconoscere gli oggetti. Ne “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” Oliver Sacks ne dà una precisa descrizione.
La prosopagnosia viene definita come un deficit percettivo acquisito o congenito che mina la capacità di riconoscere i tratti dei volti delle persone (note o sconosciute, a seconda del tipo di prosopagnosia). Di solito è imputabile a una lesione bilaterale (o, talvolta, unilaterale destra) della giunzione temporo-parietale (giro fusiforme). Nonostante questo ovviamente i prosopagnosici imparano a riconoscere i propri cari in altri modi, come informazioni acustiche o fisiche. Potremmo pensare anche alla Prosopagnosia come una sorta di contraltare della sindrome di Capgras, dove al contrario persiste la capacità di riconoscimento dei volti ma i propri cari vengono scambiati per dei sosia, minando il senso di familiarità.
Le forme di Prosopagnosia
Ci sono due principali possibili forme per questo disturbo. Una prima che riguarda il riconoscimento dei volti sconosciuti: si tratta in questo caso dell’incapacità di cogliere l’insieme dei tratti visivi di persone mai incontrate in precedenza. Si inserisce nel filone delle agnosie appercettive, ovvero quei disturbi che minano la capacità di costruire un costrutto percettivo complesso a partire da elementi semplici.
Una seconda forma concerne invece i volti conosciuti: in questo caso il disturbo è di tipo associativo, ovvero c’è un qualche problema nel collegare il volto in questione con quelli immagazzinati in memoria, portando a un mancato riconoscimento dei propri cari. È stato però comunque dimostrato che in qualche modo debba essere presente una qualche forma di elaborazione implicita delle informazioni. È stato dimostrato attraverso fenomeni di Priming o di risposta cutaneo-galvanica. Il secondo metodo è particolarmente curioso: viene registrata l’alterazione conduttività elettrica cutanea, dimostrando come ci sia un’arousal significativo quando vengono presentati dei volti familiari rispetto a quelli sconosciuti.
I modelli per il riconoscimento dei volti
Ma vediamo nel dettaglio un modello per il riconoscimento dei volti, secondo il quale la codifica di un volto avviene in 4 diversi passaggi: un danneggiamento a ciascuno di questi processi porta a danni differenti.
- Il primo stadio è quello della codifica strutturale dello stimolo. In questo primo passaggio formiamo una sorta di descrizione strutturale del volto. Appare quindi chiaro come un danneggiamento possa portare a un errato riconoscimento tanto di volti noti come di volti sconosciuti.
- Unità di riconoscimento: in questo stadio ci si forma la rappresentazione di un determinato volto. Le informazioni vengono codificate per forme e dimensioni, e viene attribuito il senso di familiarità. Se danneggiato mancherà quindi il riconoscimento dei volti noti e questi non susciteranno alcuna familiarità
- Si arriva ora al nodo dell’identità personale. In questo stadio le informazioni passano al magazzino mnestico che tiene in memoria le nostre conoscenze sul mondo e sulle persone che conosciamo. Se riscontriamo un danneggiamento a questo livello, avremo un problema di riconoscimento dei volti noti ma il senso di familiarità sopravviverà.
- L’ultimo passaggio è quello del modulo per il nome, ovvero il recupero del nome della persona. In questo caso, se danneggiato, riscontreremo una buona capacità di riconoscimento dei volti ma l’impossibilità di denominarli (anomia)
Le vie del riconoscimento
Visti i possibili danni i neuropsicologi hanno cecato di individuare le vie del riconoscimento dei volti. Una prima ipotesi avanzata è stata quella di una doppia via: una via ventrale, che proietta alle strutture temporo-mediali e sarebbe responsabile del riconoscimento consapevole, e una dorsale che medierebbe invece la risposta vegetativa. Ma questo modello non riusciva a spiegare il perché del fenomeno di Priming. È stata avanzata quindi un’ipotesi alternativa: la lesione dell’unità di riconoscimento non sarebbe del tipo tutto-o-nulla, e portare quindi a una semplice analisi parziale dello stimolo in entrata
La prosopagnosia da “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” a Caparezza
Una delle prime accuratissime descrizioni che abbiamo di questo disturbo è quella di un’opera letteraria. Oliver Sacks scrisse infatti “l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, raccolta di racconti che prende il nome dal primo presentato (non a caso Sacks lo reputava particolarmente importante). Viene qui descritto il disturbo di un insegnate di musica, che perde la capacità di riconoscere non solo i volti ma anche gli oggetti, quando presentati solo per via visiva. La Prosopagnosia si accompagna spesso infatti anche con l’agnosia visiva, un disturbo che colpisce la via ventrale della percezione, con conseguente incapacità di riconoscere gli oggetti, a meno che non siano presentati in vie diverse da quella visiva. Nell’opera si definisce però come un “probabile disturbo neurodegenerativo“, visto anche il peggioramento del paziente nel corso degli anni.
Ma anche recentemente qualcuno ha usato la Prosopagnosia come espediente narrativo. Caparezza, nome d’arte di Michele Salvemini, nel suo ultimo album (Prisoner 709) ha pubblicato un brano intitolato proprio “Prosopagnosia“, in cui il disturbo viene usato come espediente per delineare il disagio dell’artista di fronte all’incapacità di riconoscersi. In realtà la tematica del pezzo non ha seriamente a che fare con questo disturbo, ma solo con l’accezione di ‘non riconoscere il proprio viso’