“L’urlo” di Munch e lo scrittore Pirandello ci descrivono la condizione di angoscia dell’uomo moderno

La condizione di inquietudine e disorientamento dell’uomo in una realtà multiforme, sfuggevole e incontrollabilmente mutevole è stata oggetto d’indagine della cultura del tardo ottocento e di tutto il secolo successivo.

“L’urlo” di Edvard Munch

L’ urlo di Munch è l’emblema del dramma umano, dell’angoscia profonda che pervade l’animo nell’istante della perdita delle certezze. Allo sgretolarsi dell’illusione della percezione univoca del reale dà voce anche lo scrittore del novecento Luigi Pirandello nel suo celebre romanzo “Uno, nessuno e centomila”.

La paralisi deformante de “L’urlo” di Munch

“L’urlo” è l’opera più famosa dell’artista norvegese Edvard Munch il quale ha dedicato diversi lavori a questa tematica, dal 1893 al 1910. Il dipinto, conservato alla Galleria Nazionale di Oslo, prende spunto da un avvenimento relativo all’esperienza personale del pittore che, nel suo diario, racconta di aver sentito un urlo pervadere la natura durante una passeggiata al tramonto. Sullo sfondo di un paesaggio irreale e sconvolto dai toni inquietanti, l’uomo in primo piano, più simile ad uno scheletro, è deformato dallo stesso urlo che sta emettendo. Il quadro è pervaso da un brivido di angoscia che come una scossa elettrica attraversa ogni singola nervosa linea. È la rappresentazione della situazione esistenziale dell’essere umano che, in quel periodo storico, vedeva messe in crisi tutte le consolidate certezze. Davanti allo sgretolarsi della realtà per come l’ha sempre percepita, l’uomo non può che urlare ed esternare così la propria profonda frustrazione e l’arcano terrore di non aver più alcun modo per orientarsi nella vita. È una consapevolezza devastante che lo stesso protagonista non è in grado di sopportare in quanto si tappa le orecchie, incapace di ascoltare la voce della proprio tormento.

La solitudine intrinseca di ogni individuo da Munch a Pirandello

La figura che emette il grido straziante nell’opera di Munch si trova in uno stato di solitudine che lo atterrisce. La paralisi interiore, di fronte alla realizzazione intima dell’illusorietà e precarietà dell’esistenza, lo estromette da ciò che lo circonda rinchiudendolo nella prigione dell’incomunicabilità. Si tratta della stessa condizione a cui ha cercato di dare voce Luigi Pirandello in tutta la sua produzione letteraria. Lo scrittore dell’umorismo, della contraddittorietà del reale e della follia indaga la questione della crisi dell’io. L’individuo è immerso in una molteplicità mutevole che non può assimilare e razionalizzare ed egli stesso è frammentato. Non può dunque incasellare la realtà in forme comunque incapaci di conferire senso alla parabola vitale. L’unica via per poter vivere, sfuggendo almeno per alcuni istanti alle maschere e le regole con cui si organizza la società, è la pazzia.

Vitangelo Moscarda e il naso che pende verso destra

«Perché guardi così?» E nessuno pensa che tutti dovremmo guardare sempre così, ciascuno con gli occhi pieni dell’orrore della propria solitudine senza scampo.

“Uno, nessuno e centomila” è un romanzo, uscito a puntate dal 1925, in cui convergono le riflessioni di Pirandello. L’incipit della trama è la scoperta provocata dalla moglie del protagonista, Vitangelo Moscarda, di avere il naso che pende leggermente a destra. Questo innesca in lui una concatenazione di pensieri per cui egli si rende improvvisamente conto di non essere ciò che ha sempre creduto. Lui è uno, ovvero quello che lui percepisce di sé, nessuno, quando raggiunge la consapevolezza di non essere nulla di preciso e identificabile, ma è anche centomila, come i modi in cui gli altri lo vedono e considerano e come le personalità che porta in sé. La presa di coscienza di Vitangelo genera in lui un senso di vertigine, un urlo soffocante che lo induce ad adottare comportamenti che infrangono le convenzioni sociali, cercando disperatamente di liberarsi dalle catene della falsità. Tuttavia in questo tentativo fallimentare di accettare la verità e la disgregazione di se stesso, egli si isola dagli altri per immergersi nel flusso irrazionale della vita. Egli, come l’evanescente figura del quadro di Munch, è solo nella disperata cognizione dell’insensatezza dell’esistenza e grida il dramma dell’umanità.

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