Nell’Iliade, Omero propone una metafora affascinante: l’uomo è come una foglia. A distanza di circa due millenni Ungaretti ripropone la stessa metafora. Che cosa è cambiato?
Ungaretti riprende e rielabora una metafora omerica, a distanza di millenni. Le diverse condizioni sociali, culturali e anche circostanziali, rendono le due metafore molto lontane tra loro: il messaggio positivo di Omero diventa in Ungaretti desolante rassegnazione.
La metafora omerica
Nel canto sesto dell’Iliade, al verso 145, viene introdotta una delle metafore più fortunate della storia della letteratura europea. Glauco, capo dei Lici, popolazione schierata con i Troiani nella guerra di Troia, risponde così a Diomede, sensazionale eroe acheo, che gli aveva appena chiesto quale fosse la sua stirpe: “Tidide magnanimo, perché mi domandi la stirpe? Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini; le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva fiorente le nutre al tempo di primavera; così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua” (traduzione di Rosa Calzecchi Onesti).
Per quanto antica sia l’Iliade, le parole di Glauco suonano estremamente moderne: sono la presa di consapevolezza che gli uomini passano e non importi poi tanto di loro alla storia. Questo messaggio è apparentemente molto negativo, ma contestualizzato rivela una forza e una positività impressionante: quando Glauco racconta le gesta dei suoi padri a Diomede, quest’ultimo scopre che Glauco è per lui “ospite ed ereditario antico” perché Oineo, antenato di Diomede, aveva un tempo offerto ospitalità a Bellerofonte, antenato di Glauco. I due dunque decidono di non combattersi più e si giurano rispetto e onori vicendevolmente. Quanto detto da Glauco dunque è molto positivo: le generazioni passano, gli uomini passano e la storia non si ricorda di loro. Ma finché ci sarà chi ricorderà e onorerà la memoria degli antenati, questi non moriranno mai per davvero. L’uomo è come le foglie, fragile e destinato a morire, per niente padrone del proprio destino: se la Moira decide che è venuto il momento per lui di morire, un uomo, per quanto valente sia, deve morire. È il destino comune, toccato anche all’invincibile Achille. Ma esistono anche foglie che “la selva fiorente nutre in primavera” ed è dovere di queste portare avanti la memoria di quelle cadute.
La metafora ungarettiana
Giuseppe Ungaretti, nella poesia Soldati, riprende la metafora delle foglie, ma per dare un messaggio estremamente diverso e negativo: e come avrebbe potuto essere altrimenti? Ungaretti ha vissuto in prima persona le devastazioni e le stragi della Grande Guerra e con questa poesia ne riassume la desolazione: non esiste più la menzione di foglie che resistono sugli alberi. La brevità del componimento lascia disarmati e fa percepire l’impossibilità di esprimere troppo diffusamente quanto l’autore stia vivendo. Qui non c’è più la speranza nella rinascita di altre foglie, dopo la caduta autunnale. Le foglie sono tutte destinate a cadere e anche se ce n’è qualcuna che resiste, cadrà molto presto. La guerra ha distrutto tutto. La guerra ha distrutto il poeta. Non c’è più la possibilità del ricordo, perché ricordare distrugge l’interiorità del poeta; né c’è chi ricorderà molti dei giovani caduti: la loro memoria sembra destinata a morire nel giro di una generazione. Tutto è devastato, tutti sono in attesa dell’ultima e unica prospettiva rimasta, la morte.