Luigi Pirandello riteneva che “ogni definizione è falsa, ogni identità è una maschera e ogni nome nasconde molti dubbi”.
Nel programma ‘I grandi della letteratura italiana’ in onda sulla Rai è stata presentata una puntata, da Edoardo Camurri, dedicata interamente a Luigi Pirandello e al passaggio da ‘800 a ‘900. Verso la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si assiste ad una vera e propria rivoluzione del pensiero. Nel 1896 Freud, ad esempio, utilizza per la prima volta la parola psicoanalisi, consapevole del fatto che l’uomo nasconde dentro di sé più voci, identità e pulsioni anarchiche, che la società ha il compito di frenare; nel 1905 Einstein sviluppa della teoria della relatività nella quale afferma che tempo e spazio non sono concetti assoluti. L’Ottocento è l’ultimo secolo contemporaneo e chiaro a sé stesso: l’uomo comune deve far cadere attorno a sé alcuni principi cardine che formano la propria realtà e ad un tratto a rendersi radicalmente diverse sono: la vita, la politica e la società.
“Atleta dell’identità”
Il Novecento è un secolo in cui fanno apparizione le masse, ovvero super organismi in cui l’individuo non conta, in quanto quel che conta è l’omologazione, l’adeguarsi, il conformarsi, sparire e diffondersi nella moltitudine. A causa di ciò si verifica una ‘crisi dell’individuo’, e ciò è quello che troviamo come centro nell’opera a di Pirandello. L’uomo non è costituito da una, ma da infinite identità e questo lo rende intollerabile: in quanto, la società disprezza chi non segue la propria parte. In questo contesto acquista importanza l’umorismo, ovvero uscire dal gioco, intuire la realtà dietro alle maschere; l’umorista è colui che stravolge i punti di vista, presenta una prospettiva inusuale nei confronti di qualsiasi cosa, vede le cose dal loro interno, non fermandosi al loro aspetto superficiale, ma ne cerca delle motivazioni profonde. Nel 1904 scrive ‘Il fu Mattia Pascal‘ in una ‘trappola’, ovvero la famiglia. La famiglia rappresenta una delle tante trappole in cui si incastra il nostro flusso vitale e nel titolo del testo ci presenta due indizi utili per uscirne: il primo è il nome del protagonista uguale al nome del filosofo, Blaise Pascal, il secondo è dato dal fatto che Mattia Pascal è ufficialmente morto e guarda le cose dall’esterno. A questo proposito Adriano Tilgher parla del contrasto tra vita e forma: Mattia Pascal ha la possibilità di liberarsi di un matrimonio infelice una vita insoddisfatta, la vittoria di 82 mila lire al gioco gli consente di reinventarsi al di fuori della forma, ovvero nella ‘Puravita‘. La nuova vita liberata dalla forma, però, è un inferno in quanto per vivere nella nuova società del ‘900 è necessario avere una specifica forma. Per Pirandello “L’uomo vive, o si vede vivere.“, infatti i suoi personaggi vivono in un luogo di confine tra la vita e il suo oltre, inoltre egli afferma “Tentate pure di uscire dal gioco, nella battaglia contro la società, sarete sempre sconfitti.”
La vita: un’opera di teatro
Pirandello considera positivo l’intervento italiano nella grande guerra, in quanto egli è di famiglia patriottica, ma soprattutto perché una guerra può essere la grande occasione per radere al suolo una società che gli va stretta. Ma anche questa occasione si rivela una ‘trappola’: suo figlio viene subito fatto prigioniero dagli austriaci e le condizioni mentali di sua moglie peggiorano ulteriormente. Inoltre, in questa strage nelle trincee durata quattro anni, troviamo ancora una volta la distruzione dell’Io e delle persone. questa è una guerra di massa per una società di massa dove il protagonista è sempre l’umorista, ovvero colui che ‘conosce le regole del gioco, chi si siede sulla sponda di un fiume per osservare da lontano i meccanismi della vita’. Attraverso un progressivo svuotamento della realtà si arriva al meta-teatro, ovvero al teatro che si concentra e parla solo di sé stesso, differente rispetto al teatro verista che tendeva a mostrare l’illusione della vita. Per Pirandello, inoltre, i personaggi non rinnegano mai la loro natura: essi sono sempre delle finzioni teatrali, non hanno alcuna ambizione a mostrare l’illusione della vita e nell’incertezza di tutto affermano che è la vita stessa ad essere teatro, in quanto egli si cimenta a scardinare la realtà nella compattezza delle sue forme. La guerra ha sotterrato l’individualismo borghese. Il teatro consentiva a Pirandello una resa dei conti con il naturalismo e il verismo: la sua riforma teatrale si svolge all’interno dei personaggi, egli era ossessionato dai suoi personaggi “come un uomo assediato dagli spiriti”, cioè da forze immateriali e demoniache. Egli pensò attraverso i suoi personaggi, le sue idee a volte diventarono personaggi ed è da ciò che si ha l’essenza tipicamente teatrale del suo discorso. I personaggi pirandelliani nella loro disperata ricerca della verità impenetrabile, riescono a commuovere come i grandi personaggi di un tempo. Sul palco c’è l’uomo comune, lo stesso che è seduto in platea ed è costretto a guardarsi nelle sue miserie, ipocrisie e maschere. Nel 1917 Gramsci afferma: “Pirandello è un ardito del teatro, le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono crolli di banalità, rovine di sentimenti e di pensieri.”
La riforma del teatro nel teatro
L’opera del 1921 “Sei personaggi in cerca d’autore” rivela una sorta di apparente trasgressione fine a sé stessa: Pirandello fa proprie le decostruzioni delle avanguardie novecentesche ed edifica un teatro nuovo. “Il mondo è un grande palcoscenico e il palcoscenico è lo specchio del mondo: sia nell’uno che nell’altro la vecchia commedia non funziona più.” In questo ‘nuovo’ tipo di teatro i protagonisti non sono più quel tale o quella tale, ma il teatro stesso scomposto nelle sue voci fondamentali: l’autore, il capocomico, il direttore artistico, il pubblico; tutte queste parti vengono convocate in una versione plurale attraverso la quale il teatro racconta sé stesso. La tecnica del teatro nel teatro per Pirandello,diviene lo strumento per scardinare le strutture drammaturgiche, come ad esempio l’abolizione della quarta parete, ovvero il sipario, in modo tale da inglobare la platea nel palcoscenico. Tilgher nel teatro pirandelliano trova l’espressione della sua filosofia, ovvero l’antitesi vita-forma: in particolare in quest’opera agisce la convinzione dell’irriducibilità del conflitto tra il movimento ideale e la forma. La vita è in insanabile contraddizione con la forma e cioè con le cristallizzazioni e le convenzioni sociali: è sempre impossibile fissarla e immobilizzarla. Quello che interessa non è più la trama, ma il rapporto tra vita e rappresentazione e cioè tra autore, personaggi, attori, regista e spettatori. I “Sei personaggi in cerca d’autore” presentano la loro tragedia: la tragedia di un teatro, e cioè di un mondo, fatto di parti che non reggono più. La domanda che è possibile porci è la seguente: ‘Il problema è nella società o insito nell’uomo in quanto tale?’