Tra Dante, Montale, Vasco Rossi e i Ministri, si possono esaminare alcuni versi che in comune hanno la vista dall’alto della Terra.
I decenni incalzano e ci ricordano che sul nostro pianeta le risorse non sono infinite, e che a causa corrisponde sempre conseguenza. Ripensando ad Elon Musk, che ci fa sognare una vita extraplanetaria, leggiamo i nostri versi che dall’alto parlano di noi.
IL VIL SEMBIANTE
Dante non possedeva una Tesla nel Medioevo, né un drone, e non esistevano neppure elicotteri, sonde spaziali, jet supersonici, grattacieli (sebbene le torri fiorentine non avessero nulla da invidiare). Eppure la mente del poeta descrive così lucidamente la terra dall’alto che sembra l’abbia vista davvero, e questo ci permette di affiancarlo ad un moderno, si parva licet. La sua cosmologia risente molto del modello aristotelico-tolemaico, dove la Terra rappresenta il centro dell’Universo. Oggi – e da qualche secolo – la scienza ci ha fatto leggermente cambiare il punto di vista, ma ciò che Dante dice del Pianeta Blu nei versi che stiamo per leggere, rimane valido, in quanto non descrive tanto le sue fattezze, quanto ne coglie l’essenza. Ci troviamo nel XXI Canto del Paradiso, quando ai vv. 133-135 risuona questa terzina:
col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante
Tra i sette pianeti che gli è possibile osservare, lo sguardo si sofferma su questo nostro pianeta che, essendo vile, genera un sorriso. Più avanti (v. 151), la Terra sarà definita “l’aiuola che ci fa tanto feroci“.
MONTALE ASTRONAUTA
Un altro poeta della letteratura italiana che ci ha descritto la Terra dall’alto è Montale. Sono abbastanza sicuro che neanche lui possedesse un drone, o una Tesla spaziale. Ma è altrettanto certo che la sua descrizione del Globo non sia derivata da un’esperienza mistica, quale quella di Dante, quanto da una osservazione reale. Non dobbiamo immaginarci il poeta, Nobel per la letteratura, impacchettato in una tuta aerospaziale, per quanto faccia abbastanza ridere. Montale ebbe l’opportunità di vedere la Terra dall’alto comodamente nel suo appartamento milanese di via Bigli: sul piccolo schermo. In Fine del ’68, lirica della raccolta Satura (1971), il poeta si lascia ispirare dalle immagini riproposte in tv di una delle missioni che conducevano l’uomo nello spazio e che di lì a poco lo avrebbero portato sulla luna. Lo sguardo è quello di un uomo inserito nel mondo moderno, profondamente consapevole di come questo giri. Se ne ripropongono i vv. 1-6:
Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo
ed io tra questi. E tutto è molto strano […]
CANZONI CHE VOLANO
Scavallando il campo della letteratura, ma rimanendo sui versi, approdiamo nel mondo della musica. La lirica, da che esiste, è sempre da considerarsi sulla base di una stretta correlazione tra suoni e parole. E questo lo sanno bene anche i cantautori e i cantanti che tra i vari generi che il Novecento ha fatto fiorire si muovono, consapevoli o meno, su questa linea di comunanza verbale-sonora che dura da secoli. Ascoltando qua e là, pensando al tema della terra vista dall’alto, vengono in mente due esempi. Questa volta il respiro è meno ampio, ma di profondità non minore. Un po’ come la scena dell’elicottero all’inizio de La dolce vita di Fellini (1960), Vasco ne Gli angeli (1996) canta:
[…] Quando ormai si vola
non si può cadere più.
Vedi tetti e case
e grandi le periferie
e vedi quante cose
sono solo fesserie.
Laddove non arrivano gli angeli, quel posto che ricorda una waste land eliotiana è cantato anche dai Ministri in Una palude (2013):
Volavo sopra le nostre case
non c’era nulla di eccezionale
non è un segreto che la terra sia una palude
senza di te
In entrambi i casi, sorvoliamo le nostre vite e, dall’alto, anche nella desolazione più totale, possiamo scorgere i nostri gesti più quotidiani, le nostre relazioni, le nostre mancanze, le nostre periferie più vere, i nostri incontri, i nostri vissuti e i nostri abitati che, uno accanto all’altro, ci fanno sentire urbani, o semplicemente umani.