L’Onu, il 3 dicembre 2020, ha deciso di rimuovere la cannabis dalle sostanze più pericolose al mondo, riconoscendo le sue proprietà curative.
La dichiarazione dell’Onu ha segnato ha messo finalmente fine al tabù della cannabis, definita dallo stesso da sempre pericolosa al pari della cocaina e dell’eroina. Questa è stata una grande svolta per il dibattito con l’opinione pubblica e la classe politica, ma i governi hanno ancora da decidere in materia di politica interna.
La decisione presa sotto spinta dell’Oms
Il 3 dicembre 2020, gli Stati membri della Commissione droghe dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), hanno accolto le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e rimosso la cannabis dalla lista di narcotici altamente dannosi per la salute dalla Convenzione unica del 1961, dove era riportata insieme ad altre sostanze come la cocaina e l’eroina.
Il campo della ricerca scientifica attendeva da tempo questa decisione, dal momento in cui la cannabis a uso terapeutico può portare davvero benefici non indifferenti ai soggetti affetti da epilessia, morbo di Parkinson, sclerosi multipla, dolori cronici e un’altra lunga serie di gravi malattie.
Gli esperti dicono che la decisione non avrà impatto immediato sull’allentamento dei controlli internazionali, perché i governi avranno ancora giurisdizione su come classificare la cannabis. Molti paesi, però, considerano le convenzioni globali come guida, e il riconoscimento dell’Onu è una grande svolta per i sostenitori del cambiamento sulla politica delle droghe.
La posizione italiana nella questione
Ad oggi, in Italia, le attese presso le farmacie galeniche (dotate di laboratorio della produzione del farmaco), arrivano fino a sei mesi e rendono di fatto la cura intermittente. Come riporta la campagna “Medio Legale”, il fabbisogno richiesto dai pazienti italiani è quasi dieci volte superiore alla produzione effettiva di cannabis distribuita nelle farmacie dello Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze, l’unico a produrla (a meno che non cerchi di importarlo, solitamente dall’Olanda).
A seguito di questo problema di produzione, molti pazienti devono ricorrere alla coltivazione privata della pianta di marijuana, come ha fatto Walter Benedetto, affetto da artrite reumatoide. Benedetto ora però è indagato per coltivazione di sostanza stupefacente in concorso.
Purtroppo, l’Italia è un paese ancora pieno di tabù di ogni genere, ma speriamo che questo passo in avanti dell’Onu porti anche i singoli paesi a ragionare sulla questione “cannabis” e a porre fine al proibizionismo, che consente alle organizzazioni criminali si farsi avanti sul mercato.
Il proibizionismo
16 gennaio 1920, è questa la data che sancisce ufficialmente negli Stati Uniti l’inizio del proibizionismo, con il XVIII emendamento, detto “Volstead Act“. Il provvedimento legislativo è stato preso dalla presidenza Wilson con le migliori intenzioni, quelle di risanare la società. Subito dopo la Prima guerra mondiale, infatti, gli Usa vissero un boom economico di notevoli dimensioni, il quale innalzò il tenore di vita dei cittadini americani, che cominciarono a condurre una vita sempre più mondana. In particolare, l’incremento del consumo di alcool cominciò a diventare un fenomeno preoccupante per via della violenza che generava.
Ciò che non venne compreso dalla classe dirigente è che un atteggiamento proibizionistico in una società ricca e libera non può che sortire l’effetto contrario a quello desiderato. Sarebbe stato meglio promuovere campagne educative nei confronti del consumo di alcool piuttosto che vietarne la fabbricazione, la vendita, il trasporto e l’importazione. Infatti, buona parte della popolazione riusciva a procurarsi gli alcolici grazie al contrabbando.
Durante il periodo del proibizionismo la malavita è riuscita a impadronirsi di un intero settore industriale e commerciale.