Lo stupro di Nanchino, 13 dicembre 1937

Parliamo di Storia.

Traendo discernimento dalle memorie del generale tedesco Erich Ludendorff raccolte nell’opera Der Totale Krieg (lett. “la guerra totale”), l’American-English Dictionary definisce il concetto di guerra totale come “tipo di guerra senza restrizioni in termini di armamenti utilizzati, il territorio o i combattenti coinvolti, o gli obiettivi perseguiti, specialmente nei casi in cui le leggi di guerra vengono regolarmente ignorate”.

A livello scolastico viene generalmente accettato che l’ impiego della guerra totale abbia visto la propria apoteosi con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale, per poi evolversi successivamente in altre forme per tutto il XX e XXI secolo. In realtà, le prime avvisaglie di tale metodo si possono riscontrare già a partire dal 1770, ma a livello storiografico si riconosce la Seconda Guerra Sino-Giapponese (1937, poi confluita nel secondo conflitto mondiale fino al 1945) come la prima occasione in cui la guerra totale venne applicata ad ogni aspetto delle sue estensioni, arrivando ad includere civili e cibo in quanto armi da utilizzare contro il nemico.

Le truppe d’invasione giapponesi sbarcano nei pressi di Shanghai, luglio 1937

I “Tre Tutti”

La Three Alls Policy (lett. “la politica dei tre tutti”, conosciuta anche come “campagna di annichilimento”) come definita dagli stessi veterani giapponesi, fu la politica di terra bruciata sanzionata dall’Imperatore Hiroito il 2 dicembre 1938 nell’ambito dell’invasione continentale della Cina, che venne sommariamente riassunta dagli stessi soldati con la frase “uccidi tutti, brucia tutto, saccheggia tutto”.

Mirata inizialmente a prevenire l’instaurazione della guerriglia nei territori occupati, le operazioni della campagna (che raggiunsero l’apice tra il 1940 e il 1942)  videro l’intenzionale eliminazione fisica di qualsiasi maschio d’età compresa tra i 15 e i 60 anni “sospettati di essere nemici in borghese tra la popolazione locale”. Secondo lo storico Mitsuyoshi Himeta, la politica dei Tre Tutti  fu responsabile in modo diretto ed indiretto della morte di due milioni e settecentomila civili cinesi dal 1937 al 1945, anche tramite l’utilizzo di armi chimiche e della sperimentazione umana perpetrata dalla tristemente famosa Unità 731 nella regione della Manciuria.

Detta tendenza adottata dai giapponesi (e utilizzata successivamente anche contro i movimenti comunisti della regione) ebbe uno sfogo massivo un anno prima che venisse sanzionata ufficialmente: stiamo parlando dello stupro di Nanchino, la capitale della Cina Nazionalista.

Da assedio a massacro

L’invasione della Cina nazionalista (Kuomintang), attuata il 7 luglio 1937 in seguito al controverso incidente del ponte di Marco Polo (prima aggressione da parte dei cinesi, ma alcune parti sospettano si sia trattato di un casus belli imbastito dai giapponesi), ebbe un successo travolgente fin dalle primissime fasi. Nel giro di pochissimi mesi le truppe dell’Imperatore guidate dal generale Iwane Matsui sbaragliarono i cinesi presso Shanghai e cinsero perfino d’assedio la capitale di Nanchino il primo giorno di dicembre. Le forze cinesi, mal equipaggiate e demoralizzate dall’impeto nipponico apparentemente inarrestabile, subirono una serie di diserzioni di massa tanto gravi da lasciare scoperta ottima parte del contingente, le quali indussero il comandante di guarnigione Tang Shengzhi ad abbandonare la città il tredicesimo giorno di assedio e di attestare i suoi centomila uomini sul Fiume Azzurro, in attesa di rinforzi. L’abbandono della capitale da parte delle forze del kuomintang fu un evento che infervorò gli occupanti del Sol Levante, e a nulla valse il dispaccio del generale Matsui che vietava alle proprie truppe qualsiasi forma di violenza o saccheggio (in quanto la conquista di una capitale nemica era un evento di straordinaria risonanza a livello internazionale): per almeno sei settimane dall’entrata dei giapponesi a Nanchino, le forze nipponiche si macchiarono di crimini di ogni genere e sorta, spaziando tra furti, incendi, omicidi di massa, torture e principalmente stupri sistematici (da qui l’infamante definizione di stupro di Nanchino). La crudeltà e l’efferatezza dei giapponesi ci viene raccontata dalle testimonianze di alcuni missionari stranieri residenti in città (tra cui James McCallum) e dagli stessi sopravvissuti:

«È una storia orribile da raccontarsi; non so come incominciare né come finire. Non avevo mai sentito o letto di una tale brutalità. Stupri: stimiamo che ce ne siano almeno 1.000 per notte e molti altri durante il giorno. In caso di resistenza o qualsiasi segno di disapprovazione arriva un colpo di baionetta o una pallottola.»

Cinque prigionieri cinesi vengono sepolti vivi.

«[…] L’altro bambino è riuscito a fuggire per un po’, correva completamente nudo per i vicoli. Ma infine l’hanno preso e l’hanno trafitto in pieno stomaco con una baionetta, e il povero ragazzetto si è accasciato al suolo, mentre i suoi intestini si spargevano ovunque, lì intorno. Il corpo del bambino nudo fu lasciato sulla strada per giorni, dove il freddo gli impedì di decomporsi, finche non puzzò così tanto che i soldati permisero ai seppellitori di portarlo via.»

Un giornale giapponese dell’epoca. Il titolo in grassetto recita: “‘Incredibile Record’ nella gara ad uccidere 100 cinesi con la spada: Mukai 106 – Noda 105 / I due sottotenenti vanno ai tempi supplementari”

Secondo stime moderne, anche al vaglio dei documenti desecretati dagli Stati Uniti in tempi recenti, le vittime dello Stupro di Nanchino si aggirano tra le trecentomila e le cinquecentomila.

Una nuova guerra

I fatti di Nanchino nella loro brutalità furono tremendamente efficaci nel ridimensionare le capacità di resistenza dei cinesi, anche se inizialmente non previsti, tanto da indurre l’Imperatore a sanzionare questo nuovo tipo di guerra totale tramite la politica dei Tre Tutti. L’eredità dello Stupro di Nanchino persisterà nei decenni successivi, come forma di controversia diplomatica (ancora oggi le autorità giapponesi sono riluttanti a riconoscere ufficialmente i propri crimini di guerra, danneggiando ripetute volte le relazioni con Cina, Taiwan e Corea del Sud), come forma di guerra totale (l’esempio giapponese verrà perseguito dalla Germania Nazista, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica nell’utilizzare ogni mezzo possibile per annichilire il nemico) e come forma di progenitore della guerra non convenzionale: al fine di perseguire la vittoria, ogni arma (convenzionale, chimica, batteriologica, nucleare o innocente che sia) è lecita, anche in completa barba alle convenzioni vigenti.

Teste decapitate di civili cinesi messe in mostra come trofeo da un ufficiale giapponese.

Ad oggi, la maggioranza degli storici ritiene le massive perdite civili subite dalla Cina durante il Secondo conflitto Sino-Giapponese (quasi tre milioni) paragonabili ad un vero e proprio olocausto sanzionato dall’Imperatore Hiroito e attuato senza dare quartiere  e con ogni mezzo.

Per il massacro di Nanchino, solo tre delle centinaia di generali giapponesi coinvolti nei fatti furono processati e giustiziati. La maggior parte dei veterani ed ufficiali sopravvissuti alla guerra furono rimpatriati in Giappone, ricominciando la vita da civili senza mai affrontare un tribunale per i crimini commessi.

Andrea Vigorito

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