Il 10 agosto è la notte di San Lorenzo. In questa serata tutti rivolgono il proprio sguardo verso l’alto sperando di vedere delle stelle cadenti saettare nell’oscurità. In questa occasione abbiamo tutti l’opportunità di riscoprire il fascino della volta celeste e lasciarci catturare dalla sua superba bellezza.
Non solo a San Lorenzo, ma ogni notte il cielo ci regala spettacoli mozzafiato. Uno spettacolo che accende nel cuore desideri di vita, infatti desiderio deriva dal latino “de-sidere”, nostalgia delle stelle. Sono infatti le stelle a riempirci il cuore con il loro fulgore, sono loro a farci sognare, per questo abbiamo bisogno di contemplarle. I poeti di ogni tempo e luogo non hanno potuto resistere all’incanto luminoso di cui il cielo notturno si trapunta. Da Dante a Leopardi, da Pascoli a Ungaretti scopriamo alcuni fra i versi più belli ispirati dalle stelle.
1. Dante e la ricorrenza delle stelle alla fine di ogni cantica
E quindi uscimmo a riveder le stelle. (Inf. XXXIV)
puro e disposto a salire alle stelle. (Purg. XXXIII)
l’amor che move il sole e l’altre stelle. (Par. XXXIII)
La Divina Commedia scritta dal sommo poeta Dante Alighieri è imperniata sulle stelle, sul tentativo di raggiungerle. Le tre cantiche narrano del percorso dell’anima verso la purificazione, verso il cielo, verso l’alto. Il termine “stelle” conclude infatti l’ultimo verso sia dell’Inferno, sia del Purgatorio che del Paradiso, costituendosi come punto di riferimento del viaggio dantesco. Gli astri sono il luogo in cui il cuore deve gettare l’ancora, da cui non deve distogliere lo sguardo per non perdere l’orientamento nella selva oscura dell’esistenza. Essi sono simbolo di purezza, di luce e quest’ultima è il modo con cui Dante rappresenta Dio stesso. Dopo il viaggio terribile e spaventoso fra gli orrori e le tenebre dell’Inferno la volta celeste è il traguardo che conforta il cuore. Al termine dell’ascesa delle cornici del monte del Purgatorio, animate dalla serenità e dalla speranza verso il Paradiso, il poeta è puro e quindi degno di avvicinarsi agli astri. La meta ultima del percorso, è il regno della gioia sconfinata dove tutto è immerso nell’amore divino che muove ogni parte dell’universo, dalla più bassa alla più alta, persino le stelle.
2. Leopardi e il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
— A che tante facelle?
che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono? —
Il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi è un lungo monologo di un pastore nomade. Questo personaggio fittizio riflette sul senso dell’esistenza, sul dolore e sulla profonda infelicità umana. I suoi struggenti pensieri ed ansiosi interrogativi sono vanamente rivolti ad un interlocutore muto, la Luna. È la magia del cielo notturno che suggestiona e commuove l’anima semplice dell’io lirico, suscitando la meditazione filosofica. Al culmine delle sue domande incalzanti, di fronte alla toccante visione delle stelle, si chiede a che cosa giovi tutta la bellezza dell’universo, tutto lo spreco di maestosità e complessità dei meccanismi vitali. A quale scopo tutte le cose si affannano in un disegno immenso e imperscrutabile, in cui l’uomo si trova perso e disorientato, in cui non sa come possa essere felice e quale sia il senso del suo ‘breve vagare’.
3. Pascoli e la necessità delle stelle
Oltre al “X Agosto” la celebre poesia riguardante proprio la notte di San Lorenzo e il dramma familiare ad essa correlato, Giovanni Pascoli ha scritto anche un altro componimento fra i cui versi sono incastonate le stelle. Si tratta di “La mia sera”, in cui il calar del sole è salutato come momento di pace, di quiete dopo la tempesta del giorno. Così in corrispondenza al rasserenarsi della natura dopo l’infuriare del temporale, anche l’animo del poeta trova ristoro dopo tutte le tribolazioni patite in passato. In questa quiete si mostrano le stelle, discrete e silenziose. Si “devono aprire” le stelle, come fiori che sbocciano. Nel verbo dovere, oltre che il riflesso della conseguenza naturale per cui al tempo burrascoso segue sempre il sereno, si potrebbe leggere anche l’urgenza, il bisogno di vedere gli astri, luci amiche che sole possono dare conforto alle pene umane.
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle.(…) Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
4. Ungaretti tra l’orrore della guerra e la pace della notte
Quale canto s’è levato stanotte
che intesse
di cristallina eco del cuore
le stelleQuale festa sorgiva
di cuore a nozzeSono stato
uno stagno di buioOra mordo
come un bambino la mammella
lo spazioOra sono ubriaco
d’universo
Questa stupenda poesia di Giuseppe Ungaretti reca il luogo e la data di “Devatachi, 24 agosto 1916”. Scritta al fronte, fa parte della raccolta poetica de “L’Allegria”. Nonostante le atrocità e l’abominio della guerra egli alzando gli occhi al cielo riesce ancora a emozionarsi. il suo spirito si sente parte dell’armonia universale, non è rimasto pietrificato dalla disumanità circostante ma è ancora di carne, in grado di vibrare e scuotersi per la meraviglia. Il palpitare del cuore si intreccia alla tacita melodia dei corpi celesti che, con il loro rifulgere, fanno fremere tutto il cielo notturno. Ammirando questo spettacolo il poeta si nutre dell’essenza dello spazio, è ebbro dell’infinito incommensurabile e si sente completamente traboccante di pienezza.