L’eccesso di lavoro che causò attacchi di panico a Jennifer Lopez: analizziamo gli effetti dell’overworking

Jennifer Lopez racconta di quando il troppo lavoro le causò un attacco di panico. Vediamo quali sono i rischi dell’overworking.

Jennifer Lopez racconta la sua lotta e le sue delusioni - Radio Monte Carlo

“Ho avuto un attacco di panico e mi sono sentita paralizzata”. Con questa frase Jennifer Lopez racconta di come un carico eccessivo e prolungato di lavoro le abbia provocato effetti decisamente spiacevoli. Spesso è quindi bene riconoscere quando il lavoro diventa dannoso.

Quando il lavoro fa male

Potresti non aver mai sperimentato un vero e proprio esaurimento per aver passato troppo tempo sul posto di lavoro, ma sicuramente avrai sentito parlare di persone che hanno finito per esaurirsi a causa di ciò. Per definire questo fenomeno, sempre più in frequente, spesso si usa il termine inglese “burnout”. Come vedremo in seguito, il burnout causa fenomeni a dir poco spiacevoli e, in casi estremi, la morte, anche se questa è molto più comune nei paesi asiatici: in giappone, ad esempio, si usa l’espressione specifica “karoshi” per riferirsi alla morte per troppo lavoro.

Quando si parla di “overworking”, ci si riferisce ad un carico di lavoro eccessivo, che può avere un effetto negativo non soltanto sul piano mentale dell’individuo, ma anche su quello fisico.

Dal punto di vista mentale troppo lavoro si traduce in molto stress, e da solo può essere dannoso, perché capace, ad esempio, di peggiorare la qualità del nostro sonno. Inoltre si è molto più soggetti ad attacchi di panico, ansia e depressione, oltre ad una vita sociale molto carente.

La mente però è sempre e comunque collegata al nostro fisico, al nostro organismo, ed infatti in uno studio lo stress cronico da lavoro è stato correlato alla sindrome metabolica (anche conosciuta come sindrome X), ossia una situazione clinica nella quale 5 diversi fattori fra loro correlati concorrono ad aumentare la possibilità di sviluppare patologie a carico dell’apparato circolatorio e diabete.

Questo perché molto tempo sul lavoro talvolta significa un più alto consumo di fast food, una carenza di esercizio fisico, più probabilità di consumare alcol e droghe e disidratazione.

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Si può essere “lavoro-dipendenti”?

Il comune overworking comprende però non soltanto quel lavoro che ci viene affidato da altre persone con magari limiti di tempo che ci costringono a questa pratica, ma a volte compare come conseguenza di quello che viene chiamato “workaholism”.

Il workaholism è classificato come un disturbo ossessivo-compulsivo, che ci spinge a lavorare in maniera praticamente incontrollata, senza riuscire a farne a meno, proprio come per l’assunzione di sostanze. Per questa ragione, spesso viene chiamato “dipendenza da lavoro”, anche se sarebbe più giusto definirlo come un comportamento dipendente.

Questo disturbo si sviluppa principalmente da due situazioni:

  • il soggetto riceve una gratificazione dal completamento del compito a lui affidato, il che lo spinge a lavorare ancora e ancora per ricevere lo stesso effetto;
  • una situazione negativa (ad esempio problemi in famiglia) portano l’individuo ad evitare questi problemi passando più tempo sul posto di lavoro, che quindi risulta essere una “via d’uscita” da difficoltà esterne.

In ogni caso gli effetti benefici ricevuti “rinforzano” questo comportamento, che viene successivamente portato all’eccesso. Considerando poi che il lavorare molto, soprattutto nella nostra società, è visto positivamente e spesso incoraggiato, il disturbo in questione potrebbe essere spronato ancora di più dalla società.

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Lavorare responsabilmente

L’overworking può essere evitato con una programmazione dettagliata mensile o settimanale del proprio lavoro, volta a distribuire il carico in diversi giorni, più che concentrare tutto in un determinato periodo. Per i lavori che richiedono uno sforzo intellettuale, è molto utile utilizzare quella che viene chiamata “tecnica del pomodoro”, che consiste in 25 minuti di lavoro al massimo della concentrazione e 5 minuti di riposo. Questa tecnica è capace di aumentare l’efficacia del nostro lavoro e in prevenire, per quanto possibile, un burnout.

È importante inoltre porre paletti tra il lavoro ed il tempo libero, cercando di portarsi il meno possibile lavoro a casa.

Se però per diverse ragioni non possiamo fare a meno dell’overworking (ad esempio perché dobbiamo finire un progetto in un piccolo intervallo di tempo) cerchiamo di non protrarre quest’ultimo e assicuriamoci di limitare al massimo i fattori di stress e assicurarsi pasti salutari, una buona idratazione ed esercizio fisico.

Per quanto riguarda il workaholism, è importante prima di tutto chiarire con l’ausilio di uno psicologo i fattori che ci hanno portato a questo tipo di comportamento. Se non si è ancora pienamenti coscienti di questo disturbo, quindi il soggetto non capisce di avere un problema, spesso gruppi di supporto costituiti da persone con lo stesso disturbo sono molto utili per raggiungere questa consapevolezza.

È inoltre necesssario un’analisi della salute mentale dell’individuo, in quanto talvolta il workaholism coesiste con altri problemi mentali, come ad esempio il disturbo bipolare.

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