L’attacco di Nizza offre occasione per analizzare il modello di radicalizzazione di Silber e Bhatt

Ancora una volta, dopo il 14 luglio del 2016, la città di Nizza viene scelta come bersaglio di un attentato di matrice islamica. Conosciamo il profilo dell’attentatore e vediamo come questo si inserisca a pieno titolo nel modello di radicalizzazione pubblicato nel 2007 dal dipartimento di polizia di New York.

 

 

Sono le nove del mattino del 29 ottobre quando Brahim Al-Issaoui compie l’ennesima strage in territorio francese: sono tre le persone accoltellate nei pressi del cuore pulsante della città di Nizza, la cattedrale di Notre-Dame. Si tratta di due donne di 60 e 44 anni che l’attentatore ha invano cercato di decapitare e il custode della chiesa, anch’egli colpito alla gola. L’aggressore è invece un cittadino tunisino di 21 anni sbarcato in Italia nei primi giorni di ottobre e arrivato clandestinamente oltralpe, nonostante l’ordine di rimpatrio delle autorità italiane. Ma cos’ha Brahim Al-Issaoui in comune con gli altri attentatori? Scopriamolo sulla base del modello di radicalizzazione proposto da Silber e Bhatt.

 

Brahim Al-Issaoui: il profilo di un attentatore

È già stato ricordato che non è la prima volta che la città di Nizza viene scelta come bersaglio di un attacco di matrice islamica. Era già successo nel luglio del 2016 quando Mohamed Bouhlel in occasione delle celebrazioni della festa nazionale francese aveva investito la folla di persone che si era accalcata sulla Promenade des Anglais. Il bilancio dei feriti di gran lunga superiore rispetto all’attentato di giovedì 29 ottobre: ben 200 feriti, di cui 50 in gravissime condizioni. E ancora una volta la città di Nizza viene vessata dalle angherie perpetuate ad opera di giovani ragazzi radicalizzati all’Islam.

Brahim Al-Issaoui è all’apparenza un cittadino tunisino nella media, o almeno così viene descritto da chi vi si era imbattuto prima dello sbarco in Italia e dell’arrivo clandestino in Francia. Classe 1999, era diventato musulmano praticante all’età di 19 anni e di lì l’escalation di eventi fino all’attentato di giovedì. Stando alle notizie riportate, la conversazione all’Islam aveva da un lato allontanato il ragazzo dall’abuso di alcol e dall’altro l’aveva avvicinato alla frequentazione della moschea di quartiere, dove presumibilmente è avvenuta la radicalizzazione. Un profilo simile a quello di molti altri ragazzi che, una volta indottrinati e radicalizzati, si sono trasformati contro ogni sospetto in degli spietati killer al grido di “Allah è grande”.

 

Silber e Bhatt: pre-radicalizzazione e self-identification

Il profilo di Brahim Al-Issaoui può essere analizzato alla luce di quel modello di radicalizzazione proposto da Silbert e Bhatt nel 2007. Del percorso del giovane 21enne alla radicalizzazione si sa ancora ben poco ma seppur con una piccola eccezione, vale a dire il modello del dipartimento di polizia di New York si riferisce a cittadini nati o cresciuti in Occidente, tale schema concettuale può essere d’aiuto alla comprensione del processo di radicalizzazione.

Secondo Silber e Bhatt il processo di radicalizzazione consta di quattro fasi distinte e con specifiche caratteristiche: la pre-radicalizzazione, la self-identification, l’indottrinamento e la jihadization. Per quanto riguarda la prima fase, questa è da considerarsi il punto di partenza dell’intero processo e deve essere intesa come quella fase nella vita dell’individuo precedente all’esposizione all’ideologia islamica. Quello che è da rilevare è che la maggior parte degli individui che arrivano al concludersi di questo processo inizia come “normale”, ovvero si tratta di cittadini con lavori normali, vite ordinarie e in alcuni casi con dei piccoli precedenti penali alle spalle. Ecco, quindi, che l’attentatore di Nizza si inserisce alla perfezione nel modello: all’apparenza un normale cittadino tunisino, aveva lavorato come meccanico per due anni e si era poi messo a vendere benzina di contrabbando. In merito alla self-identification, per Silber e Bhatt è quella fase dove gli individui cominciano ad avvicinarsi all’Islam per poi eventualmente abbracciarlo come ideologia dominante. Perché ciò avvenga c’è però bisogno di un “trigger”, vale a dire perché l’individuo sia predisposto ad aprirsi a nuove realtà necessita di una crisi esistenziale o di un evento o circostanza che lo porti a scardinare il precedente sistema di credenze e di valori. In riferimento a questa fase non abbiamo ancora notizie certe da riportare.

 

 

Silber e Bhatt: indottrinazione e jihadization

Abbiamo detto nel precedente paragrafo che, secondo il modello proposto dal dipartimento di polizia di New York, il processo di radicalizzazione consta di quattro fasi. Finora abbiamo analizzato le prime due, vediamo i restanti due step.

L’indottrinazione viene associata a quella fase in cui l’individuo rafforza le proprie convinzioni e abbraccia in toto l’Islam al punto tale che configura le circostanze del mondo esterno come esistenti in quanto richiedenti l’azione; azione che nel progetto individuale è finalizzata ad implementare e supportare la causa, ossia l’Islam. Questa azione è la jihad militante. Una differenza che si delinea con la seconda fase teorizzata da Silber e Bhatt è che si tratta di uno step “collettivo”, ovvero molte volte questo processo viene facilitato da un contesto di gruppo o dalla presenza di una guida. Nel caso specifico di Brahim Al-Issaoui si potrebbe dedurre che tale fase coincida con la frequentazione della moschea di quartiere. Infine, il modello si chiude con la jihadization, nella quale l’individuo inizia a riconoscersi e a presentarsi al mondo esterno come un “mujahedeen”, o guerriero santo. Si tratta della fase operativa che porta alla perpetuazione dell’attentato terroristico. Nella fattispecie dell’aggressore di Nizza potrebbe concretizzarsi nello sbarco in Italia e nell’arrivo clandestino in Francia, dove ha poi compiuto l’attacco.

 

 

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