Langhe, letteratura e Resistenza: cinque curiosità che (forse) non sapevate sul “partigiano” Beppe Fenoglio

Nonostante la sua breve vita, Fenoglio è stabilmente uno degli autori più importanti del Novecento italiano. Scopriamo alcuni aneddoti curiosi sul suo percorso artistico e biografico. 

Veduta dei vigneti delle Langhe piemontesi, terra natale di Fenoglio

Una vita semplice, umile, scandita dalla tremenda esperienza della guerra e dall’affettuoso legame di appartenenza con la terra d’origine, le Langhe piemontesi. E, naturalmente, il tutto condito dalla passione viscerale per la letteratura: quella italiana la sua sposa, quella inglese la sua amante. Questo e molto di più era Beppe Fenoglio, uomo dal grandissimo talento e meritevole,  a detta di Calvino, di essere riuscito a scrivere, con “Una questione privata“, “il romanzo della sua generazione”. Una carriera letteraria stroncata troppo presto da un male incurabile, che lo ha portato via a quarantuno anni di età, consacrandolo però (soprattutto dopo la morte) tra i pilastri della letteratura italiana novecentesca.

Le Langhe, aria di casa

Cresciuto nella macelleria paterna, sui registri contabili della quale scriveva i suoi “Quaderni partigiani“, Fenoglio ha sempre avuto un legame molto particolare con la sua terra. Legatissimo alle Langhe per tutta la vita, esse sono lo sfondo delle sue opere, della sua formazione mentale e dei suoi affetti. E questo anche al di fuori della professione strettamente letteraria, dato che per molto tempo, dal 1947, ha lavorato presso un’azienda vinicola come corrispondente per i clienti stranieri. Anche per via del vino, tipico di quei posti, egli rimase sempre radicato nel suo territorio.

Nello specifico, oltre alle Langhe, Fenoglio ha nutrito sempre un sentimento di affetto profondo per Alba, la sua città natale protagonista, tra gli altri, del primo racconto della raccolta “I ventitré giorni della città di Alba“. E anche la piccola e semplice città di campagna ricambiava il suo grande affetto, visto quello che lo scrittore confessò a Livio Garzanti nella lettera del 29 maggio 1959 dopo la pubblicazione di “Primavera di bellezza“:

Ogni libreria di Alba e anche vari negozi esponevano il libro e gli affiancavano una miriade di cimeli, delle specie di presepi laici riguardanti le vicende di Primavera di bellezza: testi della canzone “Giovinezza giovinezza”, foto del re, di Mussolini, del viceré. Era una rinascita di un periodo di quindici anni prima, mentre era come se Alba scoprisse all’improvviso di avere uno scrittore

Uno scontato nome di battaglia

Una delle più segnanti e tremende esperienze della vita di Fenoglio fu sicuramente la Seconda Guerra mondiale, che investì di colpo la generazione dello scrittore albese (nato nel 1922) proprio nel culmine della giovinezza. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Fenoglio decise di arruolarsi tra le file dei partigiani il gennaio seguente, prima tra i “rossi” delle Brigate Garibaldi per poi passare ai “badogliani” della Seconda divisione delle Langhe. Com’è noto, ogni partigiano utilizzava un nome di battaglia, diverso da quello di battesimo, onde evitare di essere riconosciuti e per prevenire ritorsioni per la famiglia di appartenenza. Ma qual era il nome di battaglia di Beppe Fenoglio? Proprio “Beppe. Sembra alquanto strano, ma Fenoglio stesso poi spiegò questa sua scelta. Egli sosteneva che ormai in tutte le Langhe lo conoscevano come Beppe e non avrebbe avuto senso cambiare nome perché nessuno lo avrebbe usato. Se avesse proprio potuto scegliere, allora si sarebbe voluto chiamareHeathcliff, come il protagonista di uno dei libri preferiti di Fenoglio: “Cime tempestose” di Emily Bronte, del quale provò ad approntare anche una messa in scena teatrale. Immaginate ora i partigiani (qualcuno pure analfabeta) che avrebbero dovuto chiamarlo Heathcliff, quando a disposizione avevano un “Beppe” facile facile.

Lontano, dietro le nuvole

La grande conoscenza della lingua e della letteratura inglese di Fenoglio si fondeva spesso con la sua passione per una forma d’arte che ormai era diventata parte integrante  dell’immaginario collettivo: il cinema. E in particolare Fenoglio aveva proprio una fissazione per una canzone che andava tantissimo negli Stati Uniti ai suoi tempi (e che tutt’ora è rimasta in voga), ovvero Somewhere over the rainbow, comparsa anche nel famosissimo film “Il mago di Oz” del 1939. Era talmente appassionato di questa canzone che, quando scrisse “Una questione privata“, cioè il libro più famoso che pubblicò in vita, affidò al brano musicale il ruolo di leitmotiv dell’intero romanzo, presente quasi in ogni pagina nei pensieri del protagonista (il partigiano Milton) e ricorrente soprattutto quando si parla dell’amore di lui con Fulvia.

Ma c’è di più. Non solo Somewhere over the rainbow era la canzone centrale, ma rappresentava anche l’ispirazione originale del libro e avrebbe dovuto certificare la sua preminenza persino nel titolo. Infatti Fenoglio aveva dapprincipio pensato di intitolare il libro “Lontano dietro le nuvole, ricalcando dunque il testo della canzone. Anzi aveva preso in considerazione anche la possibile traduzione in inglese “Far above the clouds” da usare come intitolazione ancora più fedele. Ma poi la scelta ricadde su “Una questione privata“.

Una lingua speciale

Come abbiamo già detto, Fenoglio sapeva davvero bene l’inglese, tanto che già da giovane aveva iniziato ad approntare alcune traduzioni. Ma questa profonda conoscenza della lingua d’oltremanica andava ricompresa in una velleità particolare di Fenoglio, ovvero quella di avere proprio una predisposizione verso le lingue. Tanto da averne quasi creata una. Si tratta di una specie di commistione tra l’italiano, il dialetto piemontese e l’inglese, dove quest’ultima era la lingua un pochino più preminente visto che, a grandi linee, l’idioma fenogliano ricalcava la sua grammatica. Gli studiosi hanno chiamato Fenglish questa lingua, oppure Fenglese, con espressione più morfologicamente italiana. E Fenoglio usava spesso questa sua personale lingua per scrivere una prima redazione dei suoi testi e dei suoi racconti, a tal punto che ha dato, in alcuni casi, non pochi problemi ai filologi. Soprattutto per il “Partigiano Jhonny“, l’opera da lui mai pubblicata in vita e che più ha causato diatribe filologiche per la sua collazione ed edizione critica. Addirittura di alcune parti di quello che Fenoglio chiamava semplicemente “Il libro grosso” (“Il partigiano Jhonny” è un titolo postumo), le uniche pagine che ci sono rimaste conservano la redazione in Fenglish o Fenglese.

Un’amicizia profonda

Nel mondo letterario italiano, Fenoglio ha fatto un po’ fatica a farsi spazio all’inizio. Riuscì a mettersi in mostra soprattutto grazie all’appoggio di due intellettuali di spicco della sua epoca: il responsabile editoriale della casa Einaudi Elio Vittorini e, soprattutto, Italo Calvino. Quest’ultimo è stato, per tutta la vita di Fenoglio, un punto di riferimento, un confessore, un aiutante e un promotore letterario, nel vero senso della parola. Era soprattutto Calvino a consigliare Fenoglio nei vari ambiti professionali, dalla scelta di scrittura alla selezione della parola. Oppure era sempre Calvino ad aiutarlo a farsi conoscere: esemplare è l’occasione in cui disse a Fenoglio di volerlo candidare per il prestigioso Premio Formentor dell’anno successivo. Calvino e Fenoglio hanno sempre avuto un rapporto di solida e profonda amicizia reciproca, in cui spesso il primo faceva da chioccia al secondo. Nati nella stessa generazione, in contesti campagnoli molto simili e con la guerra come sfondo della gioventù di entrambi, Calvino e Fenoglio hanno condiviso opinioni, schemi mentali e, soprattutto, l’amore per la scrittura. Il loro legame era talmente forte che durò per sempre, oltre la morte di Fenoglio: in occasione del funerale dello scrittore, Calvino fu l’unico del mondo letterario italiano a partecipare. 

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