Le linee del corpo di ogni donna tracciano storie: quale miglior modo di narrarle, se non attraverso il linguaggio poetico?

Il valore erotico del corpo di una donna, molto spesso celato dietro ad imponenti tabù, viene elegantemente e spiritualmente esposto in alcuni versi di cinque grandi poeti contemporanei: Pablo Neruda, Umberto Saba, Alda Merini, Eugenio Montale e Cesare Pavese.
“Corpo di donna”: la carnale visione di Pablo Neruda
Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo gesto d’abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.
Questa attraente traduzione di Salvatore Quasimodo del testo di Pablo Neruda, poeta cileno, ci rimanda ad una lussuriosa visione del corpo di donna. Con estrema raffinatezza, Neruda accarezza le curve della sua amata con dolcissime parole. Si coglie inevitabilmente un senso di timore, legato alla grandiosità del corpo che ha davanti, che, nel gesto di abbandono all’atto sessuale, assume le sembianze del mondo. Pablo elogia la bianchezza lucente delle membra di questo corpo e le avvicina metaforicamente alle colline, che il poeta scava con il suo rozzo corpo. Si contrappongono la delicatezza del bianco della donna e la brusca presenza di lui, rude come un contadino. Tuttavia non basta questa antitesi per impedire un connubio tra i due: può essere vista come un punto di forza?
“Ignuda”: la spiritualità e l’angelica visione di Umberto Saba
M’era in sogno, ma forse ero nel vero,
che in te parlasse, fatto carne, angelo.
Un angelo del bene anche acquiesce
per bontà, per eccesso in lui d’amore.
La profonda nostalgia dell’immagine letteraria “donna-angelo” duecentesca, si manifesta in questi versi di Umberto Saba. Come in un sogno, la donna appare in sembianze angeliche al poeta. Con grande delicatezza viene descritto questo aspetto spirituale del corpo, difatti nello stesso verso sono inseriti due termini apparentemente antitetici: “carne” ed “angelo”. Diviene inevitabile apprezzare la sacralità che Saba riconosce alle curve del corpo di una donna, quando si fa carne. Queste parole sono sicuramente da inserire in una dimensione soprasensibile, in un gioco tra fittizio e reale, che comunque non perde la sua sensualità umana.
da studenti.it
L’erotismo e il suo legame con l’anima: Alda Merini
La nudità mi rinfresca l’anima
Indubbiamente, tra i caratteri principali della poesia di Alda Merini, si trova l’erotismo. Seppur sia fondamentale evidenziare il valore che la poetessa attribuisce all’aspetto carnale e prettamente fisico, è altrettanto necessario sottolineare il legame che il corpo instaura con l’anima. Il tema del nudo, celebrato già dall’arte scultorea dell’antica Grecia, assume qui un valore spirituale. Alda Merini, da donna, racconta una storia ben precisa: il corpo ha un legame diretto con l’anima. Probabilmente ci vuol fare intendere che è da considerarsi esso stesso il mezzo per nutrire e saziare la nostra fame spirituale. Le due cose risultano essere in qualche modo complementari.
Il valore salvifico del corpo di una donna: Eugenio Montale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. […]
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio,
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Un sostegno indispensabile per scendere le scale metaforiche della vita: questo costituiscono per Eugenio Montale alcuni elementi del corpo della sua amata. In questa celeberrima poesia, viene in primo luogo sottolineata l’importanza del braccio di “Drusilla-Mosca”, considerato un bastone sul quale appoggiarsi per affrontare le varie incombenze della quotidianità. In secondo luogo, Montale riconosce il ruolo necessario delle pupille della sua donna, la quale, nonostante soffra realmente di miopia, ha una vista metaforica migliore della sua. Un po’ come dei fari, che illuminano la stanza buia dell’esistenza, così il poeta evidenzia la rilevanza dello sguardo della sua amata. Queste parole, inquadrate in una dimensione del tutto simbolica, toccano il cuore, poiché il poeta ammette le sue fragilità, le quali vengono compensate e risolte dal corpo di Drusilla.

La Trinità di Cesare Pavese: Terra, Donna e Morte
Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano,
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte,
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.
Cesare Pavese con un linguaggio estremamente crudo attribuisce un’unica identità alla Terra, alla Donna e alla Morte.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio
In questa forma tripartita si evince che le linee di una donna assumono le sembianze della Terra, entrandone a far parte in maniera inconfondibile. Se si solleva il velo del pessimismo, che contraddistingue il linguaggio di Pavese, si coglie l’importanza che il poeta vuol dare alle forme di una donna, che costituiscono “zolle nel sole”. Il corpo di una donna è intrinseco alla natura e per questo è vita. Di conseguenza, come una sorta di lama a doppio taglio, l’assenza di esso porta alla Morte. Un vizio sessuale o spirituale, che in qualche modo ossessiona il poeta, il quale non sa farne a meno. Questa sorta di morbosità, certamente legata a fattori biografici di Pavese, risulta a tratti angosciante e noi lettori, possiamo solo cercare di cogliere in modo empatico il senso di un tale tormento esistenziale.