La “Venezia africana”: un paradiso perduto

Un’intero quartiere situato sulle coste della Nigeria, che ricorda in tutto e per tutto il set del film “Waterworld”. Case e palazzi costruiti sul pelo dell’acqua, a formare scorci impossibili da vedere in qualsiasi altra parte del mondo. Eppure, la periferia di Makoko, nel Lagos, rischia di sprofondare in un oceano di problemi differenti tra loro.

Circa 100.000 persone si svegliano, ogni giorno, a Makoko. E gran parte di essi, uscendo dalle proprie palafitte, si imbarca per girare da un capo all’altro della periferia. E senza altra possibilità di scelta. In questa zona di Lagos, infatti, le case e il mare che le circonda sono a stretto contatto tra loro. Alcuni edifici sono vere e proprie isole, altri galleggiano come rifiuti trasportati dalla corrente. Un panorama incredibile, quasi futuristico e insieme apocalittico.

Nemmeno a dirlo, gli abitanti di Makoko vivono di pesca: gran parte del fatturato ittico del Lagos proviene da questi palazzi annacquati. Oltre a ciò, si aggiungono come note positive la lontananza della zona dai territori in mano a Boko Haram, e la cosante attenzione che fotoreporter e importanti giornali dedicano ad essa. Tutti questi profitti, però, si compensano con le note negative che flagellano Makoko. Si tratta di vere e proprie barriere che separano la zona dall’essere una periferia inquinata a diventare la “Venezia africana”, come già fu chiamata da National Geographic.

Mare nero

Makoko è principalmente una comunità; malgrado le acque maleodoranti separino le case tra loro, la vicinanza sociale è forte e sempre presente. Certo, sempre ammesso che si posseggano imbarcazioni. Il tasso di avvelenamento delle falde acquifere, infatti, può essere considerato tossico. La malaria dilaga per via del clima palustre, e i rifiuti della vicina capitale galleggiano tra le insenature, spesso a formare nuove isole.

Ma non è tutto. Perchè malgrado le possibili infezioni e malattie nascoste sott’acqua, uno dei lavori più redditizi consiste nell’immegersi lungo i fondali per raccogliere sabbia. Sabbia che verrà poi venduta all’industria edile per costruire nuovi palazzi per i benestanti. Un lavoro pericoloso sotto molti aspetti, ma necessario per continuare a sopravvivere galleggiando.

Una periferia 2.0

Makoko ha fortissimi problemi da affrontare, ciò è indubbio. Criminalità, povertà, inquinamento, scarse risorse. Eppure in tutto ciò resta un vero e proprio modello ideale.

Turistico, a giudicare dalle attenzioni dei “piani alti” di Lagos nei confronti della zona. Attenzioni che portarono già nel 2012 allo sfratto di migliaia di persone, e alla distruzione di diverse case. L’obiettivo? Una vera e propria rivoluzione edilizia sul pelo dell’acqua: costruzione di industrie e, di conseguenza, più inquinamento e corruzione.

Sociale, vista la forte vicinanza che i locali si danno l’un l’altro. Makoko è infatti una comunità prima che una zona di periferia. A testimonianza di ciò vi è la recente cura anti-parassitaria messa in atto dalle stesse madri di Makoko. L’iniziativa promossa da Avery Nigeria Limited e da SOFI (Save Our Future Initiative) ha visto infatti l’imponente partecipazione delle famiglie, che hanno coinvolto i loro figli nel programma di cura senza pensarci due volte.

Futuristico, visto il crescente aumento del livello dell’acqua. Con una convivenza col mare che prosegue da più di un secolo, Makoko ha subìto tutto ciò che questo comporta: inondazioni, umidità, malattie palustri. Ciò a riprova del fatto che l’uomo può vivere nelle peggiori condizioni offerte dalla natura. E chissà che, a causa del surriscaldamento globale, ogni città costiera occidentale non diventi così.

Meowlow