L’esperimento di Kohler descrivere il problem solving attraverso “l’insight”.
Nel corso del XX secolo scienza cognitiva e psicologia hanno lavorato di pari passo per elaborare modelli computazionali indirizzati alla risoluzione di problemi complessi, attraverso il linguaggio della logica-formale. Tuttavia, gli esperimenti degli psicologi della Gestalt mostrano un’importante caratteristica del ragionamento umano di fronte al problem solving.
La soluzione dei problemi
Con il termine “problem solving” si intende in senso generale il processo che porta alla risoluzione di un problema superando degli ostacoli attraverso il ragionamento. Può assumere varie connotazioni a seconda del campo in cui è situato. Quella qualità che consideriamo solo in vista del curriculum, rappresenta invece un vero e proprio processo cognitivo caratteristico del pensiero umano.
La scienza cognitiva descrive il problem solving come quel processo caratterizzato dal continuo rapporto individuo-ambiente, il quale pone le basi per modelli computazionali, man mano sempre più avanzati (basta guardare lo sviluppo dell’AI). Tra questi troviamo il modello T.O.T.E. elaborato dagli psicologi cognitivisti Miller, Galanter e Pribram. Davanti ad uno spazio problematico l’individuo agisce attraverso delle fasi (Test, Operate, Test, Exit) che portano all’eventuale risoluzione del problema.
Tuttavia, se da una parte è notevole l’influenza della logica formale nella risoluzione di problemi, non si pensi che il problem solving si attui solo per mezzo di un ragionamento logico-deduttivo.
La scimmia di Kohler
Vari esperimenti mostrano l’effettiva realizzazione dei problemi secondo un pensiero di tipo analogico.
Per esempio quelli sviluppati dagli psicologi della Gestalt hanno dimostrato che il problem solving segue anche strade non prettamente logiche. Spesso è frutto di colpi di genio, o “insight” (intuizioni geniali), cioè quei lampi luminosi che illuminano il buio spazio del problema, portando alla sua risoluzione.
L’esperimento di Kohler mostra come l’apprendimento e il problem solving seguano anche questa via dell’intuizione. In questo esperimento Kohler studiò l’apprendimento dello scimpanzé Sultan ponendolo davanti a problemi come raggiungere la frutta troppo alta attraverso gli strumenti e le competenze che possedeva (scalare delle scatole e usare i bastoni). La scimmia notò presto che né le scatole né il bastone da soli bastavano a raggiungere la frutta. Ecco però che come per “intuizione” capì che usando sia le scatole che il bastone poteva raggiungere facilmente la frutta.
L’esperimento di Kohler è uno di tanti esempi, anche nella storia delle scoperte scientifiche, che mostrano come un pensiero di tipo analogico possa condurre alla soluzione di problemi e, perché no, a scoperte anche in ambito scientifico.
Pensiamo in modo analogico?
Un tipo di pensiero che per sua natura viene associato alla fantasia, ma che invece mostra effettivi risultati nella vita pratica è proprio il pensiero di tipo analogico.
La sua costituzione prevede la relazione tra elementi simili o talvolta differenti, attraverso costruzioni come la ricerca di somiglianza nonostante si tratti di realtà diverse (per esempio l’analogia onde sonore-onde liquide). Oppure la ricerca di parallelismi strutturali (la reazione delle onde sonore e liquide agli urti), così come la ricerca di obiettivi comuni (lo studio dell’onda sonora analogamente a quella liquida).
Lo psicologo Alberto Oliverio afferma che il ragionamento umano ha una natura essenzialmente analogica e che “l’essenza dell’intelligenza dipenda dalla produzione di metafore creative o analogie fluide” (A.Oliverio, 2013).
In conclusione, approcciarsi ai problemi quotidiani e non attraverso nuovi occhi, che non riconducano costantemente ad un ragionamento di tipo deduttivo, effettivamente apre nuove strade ed orizzonti verso soluzioni creative ed originali. Riprendendo lo scrittore Marcel Proust, probabilmente la vera scoperta non è trovare nuovi territori, ma osservare con occhi diversi.