Alla scoperta di una letteratura vicina ma sconosciuta alla maggior parte degli occidentali
Cosa sappiamo della storia e della cultura serba? Molti risponderebbero che non si possono ignorare le sanguinose guerre degli anni Novanta, ma pochi saprebbero cosa è successo prima, né potrebbero nominare le più importanti personalità storiche e culturali serbe o le loro opere artistiche. Ecco qualche assaggio della letteratura serba!
Lode al principe Lazar
Una delle figure più importanti della cultura serba è sicuramente la monaca Jefimjia. Nota al secolo come Jelena Mrnjavcevic (1349-1405 ca), è una nobildonna e poetessa. Figlia di un cavaliere, Vojihna, e moglie del nobile Ugljeṧa dal 1365, dopo la morte del figlio e quella del marito, prende i voti e si ritira in convento con il nome di monaca Jefimjia, con il quale viene più spesso ricordata.
La Lode al principe Lazar è uno dei testi più famosi della letteratura serba. La data di composizione risale al 1389, in quanto la poesia è stata ricamata da Jefimjia con un filo d’oro sul drappo rosso che ha ricoperto la bara del principe Lazar durante la cerimonia funebre. Risulta molto difficile relegare il componimento ad un solo genere, poiché unisce le caratteristiche dell’encomio, dell’inno e della preghiera. Viene composto in seguito a un evento che segna profondamente la storia serba, la Battaglia di Kosovo o Battaglia della Piana dei Merli, dal luogo del combattimento. L’esercito cristiano ortodosso a guida serba infatti subisce nel 1389 una dura sconfitta da quello ottomano, fatto che sancisce la fine dell’autonomia nazionale. Durante lo scontro perde la vita anche il principe Lazar, ricordato da Jefimjia come un padre per il popolo. Nel testo letterario il sovrano viene comunque rappresentato come un vincitore, un cristiano che ha saputo schiacciare il serpente (la potenza ottomana) e che ha ricevuto da Cristo anche la corona del martirio. Jefimjia chiede infine al sovrano defunto di intercedere presso Dio affinché il popolo serbo possa affrontare fieramente il giogo turco.
Hasanaginica
L’ Hasanaginica è una canzone popolare composta in area bosniaca e di religione musulmana. Essendo un testo della tradizione tramandato oralmente non si può risalire all’identità dell’autore. Il componimento ruota attorno a una vicenda tragica che riguarda la moglie di Hasan aga, un condottiero, il titolo infatti significa ‘la sposa di Hasan aga’.
Rimasto ferito durante un combattimento e credendo di essere in punto di morte, Hasan aga vuole al suo fianco la moglie, oltre a sua madre e sua sorella. La donna, però, a causa delle convenzioni sociali che impongono alle mogli di non abbandonare la propria abitazione per nessun motivo, è costretta a rimanere a casa e non si reca dal marito. Hasan aga, pur conoscendo le tradizioni del suo popolo, non approva il comportamento della moglie e la ripudia, obbligandola a tornare alla casa paterna e ad abbandonare i figli. Piegata dal dolore, l’ Hasanaginica deve anche accettare delle seconde nozze che suo fratello le impone, pur essendo totalmente contraria. Durante il corteo matrimoniale l’ Hasanaginica è riconosciuta dai figli, che la pregano di tornare a casa. Il primo marito, però, dice ai ragazzini di considerarsi orfani, perché la loro madre è come se fosse morta. La donna allora, incapace di sopportare una tale sofferenza, muore di crepacuore guardando negli occhi i suoi figli.
La morte della madre degli Jugovic
Anche questa è una canzone appartenente alla tradizione popolare e recitata oralmente. Anche se non ne conosciamo l’identità, si crede che il testo sia stato registrato da una donna in territorio croato.
Al centro della narrazione c’è la madre di nove figli, gli Jugovic, che lei vede partire assieme al marito per la Battaglia di Kosovo (1389). Nonostante la richiesta di non partire per la guerra, gli uomini la lasciano con le nuore e i nipoti per il bene della patria. La madre chiede a Dio di darle due occhi di falco e due ali di cigno per volare sopra la Piana dei Merli. Accontentata nella preghiera, la donna vede che tutti i suoi cari sono morti, ma non versa neppure una lacrima, poiché deve mantenersi forte e consolare le nuore e i nipoti. Una mattina, però, due corvi neri portano alla donna una mano del suo figlio prediletto, Damiano, riconosciuta dall’ anello che aveva al dito. Alla donna, sfinita dal dolore, si spezza il cuore nel petto. Questa canzone, seppur tristissima, è stata recitata da generazioni e generazioni poiché mostra un modello di donna ideale di fronte al dolore: impassibile all’esterno, la madre cova dentro una sofferenza straziante per i cari perduti.
La fanciulla di Kosovo
Questo testo appartiene al genere epico e riguarda sempre la Battaglia della Piana dei Merli. Si pensa che la canzone sia stata composta da una donna per l’analisi dettagliata di sentimenti ed emozioni che tutte le donne serbe provavano nell’ attesa di mariti, fidanzati, fratelli o padri impegnati in guerra.
Nel testo la protagonista, una fanciulla, decide di recarsi alla pianura in cui si è appena conclusa la disastrosa Battaglia di Kosovo. Il suo scopo è quello di trovare il suo promesso sposo e i due giovani che sarebbero stati i loro testimoni di nozze. Colpita dalla vista di un soldato in fin di vita, lo soccorre fornendogli dell’acqua e tenendogli compagnia negli ultimi istanti. Parlando con lei, il giovane le rivela che tutti coloro che sta cercando sono stati uccisi durante il feroce combattimento. Molto interessante è la fine del componimento, in cui a parlare è la ragazza in preda al dolore:
‘Ah misera! Ben amara è la mia sorte! Se, misera, mi appiglio a un verde pino, anch’esso, verde, si seccherebbe!’