Ecco perché la libertà di pensiero dell’art. 21 non ti autorizza a discriminare
L’odio va sempre spento. E va fatto immediatamente, perché, se lasciato ardere come una fiamma appena appiccata, è pronto a divampare e invadere tutti gli spazi di serenità. Ma in questo caso, abbiamo dovuto aspettare 20 anni di richieste e dibattiti e ora, che siamo finalmente vicini a una svolta storica, la necessità di non dare cittadinanza alla discriminazione si fa sempre più urgente e ci rende impazienti di vedere una volta per tutte la legge contro l’omotransfobia diventare realtà.
Il disegno di legge contro l’omotransfobia
Proprio in questi giorni, tra un dibattito e l’altro circola il disegno di legge che se approvato, introdurrà nel nostro ordinamento una fattispecie penale legata all’omotransfobia. Questo però, seppur significativo, non è il primo dei tentativi fatti: un esperimento, andato in fumo, risale al 1996 quando, Nichi Vendola, propose una legge che affrontava lo stesso problema di oggi, sempre attuale, degli episodi di discriminazione causati dall’odio per chi ama una persona dello stesso sesso. Da allora sono passati 24 anni e solo alla vigilia dell’anno nuovo si è affrontata nuovamente la questione. Ciò si è fatto grazie al disegno di legge Zan, ancora nel pieno dell’iter legislativo, ma che, in caso di conclusione positiva, aggiornerà gli art 604-bis e 604-ter del Codice penale andando a estendere il divieto già presente legato ad episodi di discriminazione anche ad orientamento sessuale e identità di genere. La norma punisce infatti la propaganda di idee fondate su discriminazioni razziali, etniche, religiose, l’istigazione o il compimento di aggressioni legate a queste argomentazioni e le organizzazioni o associazioni fondate per tali scopi: alle ultime due previsioni in particolare si andrebbero ad aggiungere i due oggetti del disegno di legge, lasciando invece fuori la propaganda di idee. Una sorta di scudo quindi, per proteggere la comunità LGBTQ+ che ormai da molto tempo chiede di non ignorare le numerose vittime, costrette a subire ormai da anni soprusi, violenze e aggressioni per il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, fattori che attengono ad una sfera completamente intima e soggettiva della persona e non possono e devono essere input per la discriminazione.
Perché non è libertà di pensiero
Nonostante i numerosi dibattiti attorno la questione, occorre specificare che introdurre eventualmente questo divieto non significherebbe autorizzare la censura, andando a violare la libertà di pensiero costituzionalmente garantita dall’art.21 della Costituzione. Infatti, seppur il limite è più che mai sottile, già l’originario articolo 604-bis introdotto con la legge Mancino del 1993 tiene separati i due campi d’azione della discriminazione e della libertà di pensiero che, seppur confinanti, rimangono avulsi l’uno dall’altro. Prendendo ad esempio la fattispecie riguardante gli atti di discriminazione razziale, la norma chiarisce che non è punibile il pensiero del singolo soggetto, ma bensì la propaganda di idee fondate su tali ragioni. Ciò significa in parole semplici che il razzismo in sé non costituisce reato: dunque un vostro amico che davanti un caffè esprime un pensiero razzista non è, per quanto non condivisibile, perseguibile penalmente, come invece lo è un politico o una personalità di spicco che propaganda idee di questo genere, andando ad influenzare i propri seguaci e ascoltatori. Allo stesso modo dunque si ragiona per la legge contro l’omotransfobia, ancora di più se si pensa che il testo del disegno di legge lascia fuori la propaganda di idee. La legge dunque non mira a mettere un bavaglio alle bocche o alle menti, ma anzi consente di essere più liberi, perché se è vero che lì dove finisce la propria libertà inizia quella dell’altro non si possono ammettere violenze e aggressioni motivate da ragioni irrilevanti e personali come l’orientamento sessuale.
Una legge urgente
Sembra assurdo aver dovuto aspettare così tanto mentre intorno a noi si sono consumate ogni giorno tragedie motivate dall’odio verso l’omosessualità e l’identità di genere che si leggono periodicamente sui rotocalchi. Poco tempo fa, l’Arcigay ha contato circa 187 episodi di violenza dal 2018 ad oggi, come un’onda d’odio che invece di affievolirsi ha travolto sempre di più una società che nel 2020 si spaccia per moderna. E questi avvenimenti menzionati sono solo quelli che hanno avuto pubblicità e che non contemplano invece i casi di violenza silenziosa, quelli che si consumano nelle scuole verso vittime che ancora oggi non possono dirsi protette. Il numero verde contro l’omotransfobia Gay Help Line infatti conta più di 50 telefonate al giorno presso le loro linee: grida di aiuto, sfoghi, che forse non si manifestano ancora attraverso la violenza, ma utilissimi per svelare come di fatto l’odio sia ancora protagonista della vita degli italiani. Solo pochi giorni fa un 25enne di Pescara è stato punito a suon di calci e pugni da un gruppo di ragazzi che nel cuore della notte si sono ritenuti legittimati ad aggredire ed insultare il giovane perché gay, arrivato poi in ospedale con una mascella rotta. Questo è solo uno dei tanti episodi che potremmo evocare, perché il numero delle vittime sale di giorno in giorno. Vittime, ma anche persone. Ragazzi e ragazze giudicate da un sistema che stigmatizza e accoglie solo pregiudizi, che ha la fretta di incasellare e inserire tutti noi in categorie ben precise, come bottiglie di plastica tutte uguali pronte ad essere etichettate. Vittime perché, se c’è bisogno di una legge che proibisca di odiare, significa che essa nasce dalla necessità di proteggere una categoria che oggettivamente può ritenersi debole e in pericolo per il proprio orientamento e la propria identità di genere, debole e in pericolo per come è. E no. La libertà di pensiero non può essere una scusante, perché l’omotransfobia non è un’opinione ma costituisce discriminazione e dovrà, se non oggi, prima o poi, essere reato.