Il 27 gennaio si commemorano le vittime dell’Olocausto e proprio dal bisogno di testimoniare gli orrori della Shoah nasce la produzione di Primo Levi, uno dei pochi sopravvissuti.
Sopravvivendo a una delle più grandi atrocità della storia, per tutta la vita Primo Levi portò sulle spalle il peso di un’esperienza che aveva cercato demolire la dignità umana. Con la sua produzione letteraria ci rammenta a quali mostruosità può arrivare l’uomo mettendo a tacere la ragione.
Una diversità imposta e il dovere di raccontare
“Sono diventato ebreo in Auschwitz. La coscienza di sentirmi diverso mi è stata imposta.”
Primo Levi si definì in un’intervista “ebreo di ritorno”. A cosa allude questa espressione? Cresciuto in una famiglia laica e divenuto all’inizio della sua vita parte integrante della borghesia torinese, non aveva ricevuto un’educazione ebraica ma, soprattutto non si era mai sentito diverso dagli altri. Solo le leggi razziali prima e la deportazione dopo contribuirono a far nascere la consapevolezza di una diversità mai avvertita prima d’ora. Facendolo sentire ebreo, Auschwitz spinse Levi a recuperare il suo patrimonio culturale e fece nascere in lui l’interesse per le sue radici. Inoltre, dopo la liberazione dal lager, era sorto in lui l’urgenza di raccontare al mondo quali atrocità avevano avuto luogo ad Auschwitz. Lui, e tutti coloro che erano sopravvissuti, avevano il dovere civile e morale di raccontare quanto era accaduto.
Per non dimenticare
“Se questo è un uomo” è l’opera più famosa di Primo Levi e racconta l’inferno dei campi di concentramento. Levi racconta le atrocità vissute per testimoniare l’orrore della Shoah e “Se questo è un uomo” si configura proprio come un libro di memoria scritto per impedire al mondo di dimenticare le mostruosità a cui l’uomo è arrivato spegnendo la ragione. Con uno stile estremamente asciutto, privo di qualsiasi orpello retorico, vengono raccontati, per episodi, la vita all’interno del lager, le varie occupazioni, le strategie che i prigionieri attuavano per sopravvivere. Ciò che viene messo in evidenza è l’abbrutimento dell’uomo, la totale demolizione della dignità umana e della coscienza morale. Può considerarsi il seguito di “Se questo è un uomo” l’opera “La tregua”, che racconta l’odissea dopo la liberazione, il viaggio di ritorno a casa. Il titolo fa riferimento alla tregua temporanea dall’orrore, che però accompagnerà i reduci per tutta la vita: il buon umore che nasce nei sopravvissuti dalla libertà ritrovata dura pochissimo perché nessuno riuscirà mai a dimenticare l’orrore dei campi di concentramento.
Il senso di colpa per essere sopravvissuti
Nel suo ultimo libro, “I sommersi e i salvati”, Levi cerca di fare un bilancio lucido e complessivo della sua esperienza di internato. Quello che emerge è il tormento che ha perseguitato i superstiti dopo essere stati liberati, e alla base del libro vi è una domanda: “Come hanno fatto quei pochi sopravvissuti a uscire vivi da Auschwitz, considerato il milione e mezzo di ebrei morti?”. Levi fa i conti con il sentimento di vergogna che lo perseguita da quando è stato liberato e che nasce dal fatto di essere sopravvissuto all’Olocausto. In un primo momento aveva attribuito la sua sopravvivenza a una serie di circostanze fortunate (la conoscenza del tedesco, la laurea in chimica). In quest’opera invece scioglie i nodi della sua inquietudine, ammettendo le sue responsabilità. Chi è sopravvissutto si è reso complice dei suoi aguzzini, ha collaborato allo sterminio degli altri deportati per poter beneficiare di qualche vantaggio, ha agito secondo la logica del mors tua vita mea. Tutto questo rientrava nel progetto nazista di annientare completamente l’umanità dei prigionieri, portando a un abbrutimento non solo fisico ma soprattutto morale. Tenere viva la memoria di questi crimini diventa per quei pochi sopravvissuti l’unico modo per ridurre la vergogna.