La follia: una sola parola ma tanti concetti, spiegati da Dante e Ariosto

Il cambiamento di significato di una parola in varie epoche

Quanto pensiamo al termine “follia” ci vengono in mente personaggi dalle idee contorte, che compiono azioni totalmente fuori dal comune e dalla normalità. “Folle” nel XXI secolo sembrerebbe significare “fuori dagli schemi”, ma cosa significava secoli fa?

La “follia” ai giorni nostri

Per andare ad approfondire il significato di questo termine ai giorni nostri, ho scelto due personaggi che tutti voi conoscete, tratti dalla letteratura e dal cinema: Joker e il Cappellaio Matto.

Joker è conosciutissimo per le sue innumerevoli battaglie contro Batman, è il cattivo della situazione. Ai nostri occhi questo antagonista è un folle, dato che se ne va in giro con la faccia colorata, truccato da Clown cattivo. Ma cosa l’ha portato ad essere così? Joker era, inizialmente, un comico squattrinato, che decise di fare una rapina per “guadagnarsi da vivere”. Poco prima di effettuarla, la moglie scomparve misteriosamente e lui ne soffrì molto. Durante la rapina progettata in una fabbrica di carte da gioco, egli finì dentro ad un canale di scolo, pieno di rifiuti tossici, che lo resero il Joker che tutti noi conosciamo. Joker, quindi, non è sempre stato folle, lo è diventato a causa di agenti esterni.

Il Cappellaio Matto, personaggio tratto dal libro “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carrol, invece, risulta “pazzo” ai nostri occhi per il suo essere così stravagante. Egli, infatti, utilizza abiti tutt’altro che sobri, è allegro per la maggior parte del tempo e pone ad Alice indovinelli senza soluzione, come “Che differenza c’è fra un corvo e uno scrittoio?”. Si pensa che questo personaggio abbia subito un avvelenamento da mercurio dovuto alla lavorazione dei tessuti che egli indossava, ma non è certo, dato che è un personaggio di fantasia.

Entrambi sono personaggi che manifestano dei sitomi di pazzia a livello psicologico e psichiatrico, quindi deduciamo che la follia ai giorni nostri sia “sinonimo” di malattia mentale.

La “follia” per Dante

Da l’ora ch’ïo avea guardato prima
i’ vidi mosso me per tutto l’arco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;

sì ch’io vedea di là da Gade il varco
folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
nel qual si fece Europa dolce carco.

In questo passo del XXVII canto del Paradiso, Dante discute con San Pietro la follia di Ulisse nel compiere il viaggio che lo porterà alla morte, superando le “Colonne d’Ercole”, ovvero lo stretto di Gibilterra, affacciandosi a mondi non ancora conosciuti al tempo.

Per Dante Ulisse è un “folle” perchè va contro il volere divino: al tempo, infatti, si pensava che non si potesse andare oltre lo stretto, poichè Dio lì aveva posto il confine della conoscenza umana. Dante, infatti, immagina che in mezzo a quel mare sconosciuto si trovi il monte del Purgatorio, a cinque giorni di navigazione dalle “Colonne d’Ercole”.

Ulisse viene quindi punito per questo, poichè ha osato affrontare il volere divino: non appena inizia ad intravedere il colle, viene risucchiato con i suoi marinai da un vortice, che lo condurrà dritto all’Inferno, nell’VIII bolgia dell’VIII cerchio, fra i consiglieri fraudolenti.

La “follia” di Orlando

Altro autore della letteratura italiana che parla della “follia” è Ludovico Ariosto. Nella sua opera, l’ “Orlando Furioso”, egli fa riferimento al cavaliere Orlando, che perde il suo senno a causa di Angelica, la donna che amava profondamente.

Angelica, però, non ricambiava l’amore di Orlando: infatti ella si innamora di Medoro, un giovane fante di umili origini, che si trova in fin di vita. Angelica si sposerà con Medoro e Orlando, scoprendolo, perderà tutta la ragione, diventando “folle” e “furioso”. La ragione di Orlando andrà a finire sulla Luna, dove si trovano tutte le cose che vengono perse sulla Terra, e verrà poi recuperata da Astolfo.

La “follia” per Ariosto, quindi, è quella per l’amore perduto, che fa impazzire gli uomini non ricambiati dalle belle fanciulle.

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