Craxi è uno dei personaggi centrali di una stagione politica del nostro paese così importante da essere denominata erroneamente ”prima Repubblica”.
Benedetto Craxi, per tutti Bettino, è stato per molti anni segretario del partito socialista italiano, nonché più volte Presidente del Consiglio e ministro.
In questo articolo si vuole ripercorrere le tappe che hanno reso Craxi uno degli attori protagonisti della politica degli anni ’80 e ’90, facendo anche riferimento ad uno dei casi internazionali più pericolosi per il nostro paese, il caso Sigonella, e al film Hammamet, sugli ultimi anni del leader socialista.
Perché d’altronde, si può giudicare la figura di Craxi in tanti modi, e soprattutto negativamente, ma quando si parla di storia della Repubblica non si può non citare il suo nome.
Chi è Bettino Craxi?
Quando nel 1976 si profila sempre di più l’idea di compromesso storico tra i due partiti di massa Pci e Dc, il Psi capisce che si deve riformare completamente, a partire dalla dirigenza, per non finire bloccato nelle tenaglie di un accordo che avrebbe portato il partito socialista a trovarsi ad una posizione di logorante opposizione. Infatti, l’idea di alternativa socialista, che avrebbe portato al governo i socialisti con la democrazia cristiana, i socialdemocratici e i repubblicani, non è supportata da una base di voti sufficiente da poter interessare i cattolici.
La soluzione allora deve essere radicale. Ed è così che i vecchi dirigenti affiliati allo storico segretario del Psi, Pietro Nenni, devono dare spazio a un nuovo gruppo di dirigenti quarantenni definiti ”colonnelli”, tra cui spicca il nome del milanese Bettino Craxi, nuovo segretario del Psi.
Il sogno di Craxi è una socialdemocrazia che possa insediarsi alla guida del paese, un po’ come i Labour anglosassoni o l’Spd tedesca, creando di conseguenza una sorta di bipolarismo di alternanza tra maggioranza e opposizione, fino ad allora negato dalla potenza del centro democristiano.
Inoltre Craxi è coadiuvato da un gruppo di intellettuali socialisti che cerca di studiare la società per capire quale sia la formula migliore di modernizzazione del sistema politico. Infatti la società italiana ormai non si trova più nell’immediato dopoguerra del boum economico, non si trova più in quella situazione di ingenuità politica dettata dalla poca maturità democratica e dalla poca presa di coscienza del proprio potere, come poteva essere dopo vent’anni di dittatura fascista. Ora l’elettorato è cambiato, esprime la propria opinione politica, e in relazione proprio a questo atteggiamento iniziano ad essere più incisivi partiti d’opinione come i Radicali, i quali vanno contro alla partitocrazia corrotta dei cattolici.
Dunque la modernizzazione della politica è per i socialisti un imperativo e il modello sono: Germania, Inghilterra e Stati Uniti d’America.
Il primo cambiamento di Craxi, che non deve essere considerato marginale perché motivo in realtà di grande revisionismo ideologico, è il cambio di simbolo. Si passa dalla falce e martello nenniana e turatiana al garofano rosso.
Un cambiamento significativo, perché porta i socialisti a distanziarsi dagli ideali marxisti-leninisti, e per contrasto delegittima l’idea che un partito a ”falce e martello” come il Pci possa essere interprete di un’idea di socialdemocrazia un po’ peculiare, che troverebbe le sue particolarità proprio nel nome fuorviante e nel simbolo.
Gli anni successivi al ’76 sono anni di ”solidarietà nazionale”, ossia quel periodo in cui gli esecutivi capitanati dalla Democrazia Cristiana venivano tenuti in piedi dall’astensione, nel momento della fiducia, di Berlinguer e il Pci.
Naturalmente questo accordo, secondo step politico dopo ”la strategia dell’attenzione” di Moro, voleva essere il passo precedente al compromesso storico, ossia un compromesso tra comunisti e democristiani che avrebbe portato un governo forte e stabile al paese.
Di questa idea, all’interno della Dc se ne fa interprete il capo della corrente dossettiana, ossia la corrente di sinistra, quella di Aldo Moro, che però non ha ancora grande presa all’interno del partito.
L’uccisione di Moro, quindi della personalità di spicco della sinistra cattolica, da parte delle Brigate Rosse nel 1978, mette fine per la Dc al compromesso storico. D’altronde però la destra di Giulio Andreotti è ben intenzionata a continuare a far sperare i comunisti di ottenere l’accordo, al fine di tenere in piedi governi democristiani con la ”solidarietà nazionale”. E il fine del ”bluff” di Andretti è quello di ridare vigore ad una Dc in quegli anni era stata devastata da una prima Tangentopoli, dove si era scoperto che i partiti di Governo (dunque soprattutto la Dc) si facevano finanziare in modo illecito dalle aziende di stato che controllavano, e poi dalla cocente sconfitta al referendum abrogativo del ’74 sul divorzio.
Questa decisione di Andreotti e della destra democristiana apre inevitabilmente le porte del Governo al Partito Socialista Italiano, che in tutto questo periodo, grazie alla lungimiranza riformistica di Bettino Craxi, si era smarcato completamente dal passato marxista. L’alternativa socialista ora è possibile.
Gli anni del Pentapartito
L’idea di bipolarismo di Craxi ora sembra più che mai avere delle basi politiche e sociali per essere innescata. L’idea è quella di togliere potere alla Democrazia Cristiana per creare due fronti, uno di sinistra socialdemocratica e uno di destra moderata, prospettiva che agli occhi di Craxi diventa sempre più concreta.
Il leader socialista nel ’79 pubblica sul settimanale ”L’Espresso” un articolo di suo pugno, che verrà ribattezzato come ”il vangelo socialista”. Il succo del messaggio è semplice: il Psi si allontana completamente dall’ideologia marxista e abbraccia ideali socialdemocratici e liberali. Ma per poter davvero fare una rivoluzione socialdemocratica serve creare quel grande partito, nello stile labourista inglese, che metta assieme i lib/lab, ossia i liberali e i laburisti. Un invito quindi fatto a molti partiti di quell’epoca. Sicuramente al partito liberale e al partito repubblicano, poi al Psdi, vecchia costola socialdemocratica del partito socialista, distaccatosi ai tempi del frontismo (accordo alle elezioni del ’48 tra socialisti e comunisti) e poi all’unico partito di opinione dell’epoca, ovvero il partito radicale di Pannella.
Il richiamo ha però poco eco nei vari partiti, e la ragione è che tutti sono spaventati dal dinamismo di Craxi e dall’idea di un’egemonia in questo gruppo del Partito Socialista.
Svanita questa possibilità a Craxi non rimane che continuare sulla strada dell’alternativa socialista, facendo un accordo di Governo con i democristiani, che in quel momento si trovano in una situazione di crisi.
Nel frattempo però anche Berlinguer è in crisi, e lo testimonia la sconfitta elettorale del ’79 dove i comunisti perdono 4 punti percentuali. La colpa è da una parte il tradimento di Berlinguer con la politica della solidarietà nazionale e l’appoggio ai governi democristiani di cui la base comunista risente molto; e dall’altra, le politiche economiche di austerità della Dc che il segretario comunista aveva dovuto appoggiare.
Dunque, con i comunisti fuorigioco e i democristiani in crisi, Craxi capisce di avere il coltello dalla parte del manico. Così chiede all’esecutivo della VIII Legislatura (1979-1983) di avere il 50% dei ministri, nonostante il Psi avesse preso solo il 9,7% alle elezioni (a fronte di un 38,5 della Dc), che però si rivela quel pugno di voti chiave per poter sostenere il Governo presieduto da Cossiga. Un Governo composto da 5 partiti: Psi, Dc, Pri, Pli, Psdi; e per questo chiamato Pentapartito.
Il genio di Craxi qui è stato quello di riuscire a guadagnare così tanti ministeri (il 50% del Governo) con una percentuale piccolissima. E naturalmente, oltre ai ministeri, Craxi guadagna posti nelle aziende di Stato, nella televisione pubblica, sempre in ragione di quel 50%.
Ma il suo genio politico non si ferma qui. Craxi vuole avere ancora di più, vuole Palazzo Chigi, la presidenza del Consiglio. Ed è così, che a fronte della sconfitta della Dc che nella IX Legislatura passa da 38,5% al 32%, Craxi diventa il padrone del Pentapartito e Presidente del Consiglio nel 1983.
Il Pentapartito avrebbe così, fino a Tangentopoli, instaurato una continuità governativa molto forte, che avrebbe portato nella politica italiana e in tutte le istituzioni un potere vastissimo alla partitocrazia. Insomma, qui davvero si arriva al culmine dell’idea Stato-Partito, dove lo Stato è direttamente gestito dai partiti di Governo, in ogni sua sfaccettatura.
Berlinguer, però, quando capisce di non avere più speranze di portare il Partito Comunista al Governo decide di iniziare a criticare la corruzione del Pentapartito. A lui si aggiungono naturalmente i radicali e altri partiti che pian piano nascevano sulla scia della protesta contro la partitocrazia.
Perché, in effetti, in quegli anni si viene a scoprire, che oltre ad un sistema di finanziamento pubblico ai partiti costantemente portato all’illecito, vi era anche una profonda collusione tra il mondo della politica e quello dell’imprenditoria. Insomma, un sistema fraudolento che la macchina della partitocrazia lasciava dietro di sé.
Così, vari magistrati, sull’onda della popolarità delle accuse dei politici comunisti e dei giornalisti tendenzialmente di sinistra, decidono di aprire una serie di inchieste giudiziarie, che prenderanno il nome di ”Mani Pulite”. Il paladino di queste inchieste è il pm di Milano Antonio Di Pietro, futuro fondatore di Italia dei Valori e politico di vari gruppi di sinistra.
Sul banco degli imputati, inevitabilmente, finisce l’uomo simbolo della partitocrazia e del Pentapartito, Bettino Craxi. Le accuse sono molte e le sentenze molto pesanti. Tanto che Craxi decide di andare in esilio volontario ad Hammamet, in Albania, dove morirà nel 2000.
La notte di Sigonella
Il 7 Ottobre del 1985, 545 persone vengono sequestrate sulla nave Achille Lauro da un gruppo di terroristi palestinesi, che ha a capo il terrorista Abu Abbas.
Un passeggero di questa nave però viene preso e ucciso dai terroristi, perché ebreo. Solo che la nazionalità del passeggero è americana. Per questa ragione Ronald Reagan, presidente degli Usa, chiede immediatamente l’estradizione in America del terrorista.
Estradizione che però viene negata dal Presidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi. E il tutto si svolge nella base militare americana di Sigonella, dove i militari italiani, su ordine del Governo, non cedono il prigioniero agli americani.
La scelta in quel caso era duplice. O Craxi sceglieva di lasciar minare la sovranità italiana dagli americani, che in quel caso avrebbe portato ad un’evidente immagine del paese subordinato alla potenza statunitense, senza parlare tra l’altro degli effetti negativi che la cosa avrebbe avuto sui rapporti tra l’Italia e i paesi arabi e del medio-oriente. Oppure arrivare magari ad un incidente diplomatico colossale, con un paese da sempre importante per l’economia italiana.
Craxi sceglie la seconda opzione, la quale si rivela quella migliore, anche perché l’opinione pubblica internazionale lesse questo caso come un atto di forza di Davide contro Golia, della piccola ma forte Italia contro il gigante a stelle e strisce, scongiurando così l’incidente diplomatico con gli Usa.
Hammamet, di Gianni Amelio
Il film di Gianni Amelio, uscito nelle sale quest’anno, si rivela subito per ciò che non è ciò non doveva essere, ossia un documentario sulla storia politica di Craxi.
Perché il Craxi, interpretato da Pierfrancesco Favino, non è il Craxi leader dei socialisti, e nemmeno il tessitore delle fila del Pentapartito, ma è l’uomo nel suo periodo crepuscolare.
Un uomo, ormai fuori dai giochi politici, al quale non resta altro che guardare gli eventi della politica da un piccolo schermo, in una sontuosa villa, in una località remota, la cui desolazione pare restituire allo spettatore del film l’idea vera del mondo interiore di Craxi. Un mondo ormai deteriorato da una fine inesorabile, che conta soltanto gli ultimi ticchettii di orologio per compiersi definitivamente.
Insomma, il Craxi di Hammamet è un Craxi che sta per morire, a meno che forse non vogliamo dare più peso alla morte spirituale anziché alla morte fisica, e allora in quel caso dovremmo ammettere una morte ancora precedente.
Il film non pare avere dalla critica un grandissimo successo, complice anche di un pubblico che non è più abituato a una riflessione che vada al di là di una narrazione storica, che arrivi ad una seria introspezione personale dell’uomo Craxi, anche se si potrebbe dire dell’uomo in generale.
Perché la superficialità di chi giudica un uomo solamente per alcune azioni del personaggio che questi ha inscenato nella vita professionale, senza nemmeno porle su una bilancia equa con invece tutte le azioni compiute, e con l’idea stessa che dietro a quel politico ci fosse un uomo, con delle fragilità e con un sentimento tutto suo, inequivocabile, porta inevitabilmente quel genere di spettatore a criticare un film con protagonista un uomo che sta morendo.
E allora il Craxi di Hammamet non è un politico corrotto che fa vittimismo, ma un uomo che sta finendo i suoi giorni, e si chiede solamente che senso avesse tutto ciò.