La distanza alimenta o spegne l’amore? Rispondono René Magritte, Jaufré Rudel e Giosuè Carducci

La distanza è un ostacolo per chi ama o è invece ciò che tiene viva la fiamma? “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” o è forse  meglio correggere questa frase in “lontano dagli occhi, vicinissimo al cuore”?

Così andrebbe riscritto il famoso modo di dire secondo René Magritte, Jaufré Rudel e Carducci. È dalla mancanza che nasce e si sviluppa il desiderio e, forse, è proprio nell’irrealizzabilità che questo attinge il suo fascino. La lontananza dell’oggetto d’amore diventa così feconda, ispiratrice della poesia, perché è necessario ricordare che la letteratura, così come l’arte, nasce sempre da un vuoto, da una sete di altro, dalla tensione verso qualcosa che non si possiede.

Il bacio impossibile degli amanti di Magritte

La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto.

Questa citazione di René Magritte può ben riassumere tutte le sue concezioni riguardo la percezione del mondo circostante che egli traduce egregiamente in pittura. Il celebre artista surrealista rappresenta la realtà stravolgendola. Tutti gli oggetti quotidiani sono lì, sulla tela, accuratamente e fedelmente rappresentati, ma in contesti ‘sbagliati’ e associati in modo non usuale, creando così confusione nello spettatore. Attraverso questi accostamenti disorientanti e tramite deformazioni il pittore cerca di mostrare l’invisibile, il mistero sotteso a ciò che si vede guardando con superficialità. Così ne “Gli amanti”, quadro del 1928, vediamo due volti coperti da un panno bianco che si baciano. Fra loro la barriera è sottile, un velo, ma sono proprio quegli insignificanti millimetri a segnare distanze oceaniche fra i due che non potranno mai baciarsi davvero. Eppure è proprio la presenza di un soffocante ostacolo, di questo diaframma, che sembra suscitare in essi la bruciante foga della passione, quasi volessero sbranare quel confine invalicabile. Non si vedono, non si conoscono eppure si amano, è un amore vicino eppure è a distanza. È un amore verso qualcosa di ignoto, come dice Magritte. I due innamorati non si vedono, eppure si bramano, non si possono congiungere per intero e forse è proprio per questo che si amano smaniosamente.

La morte di Jaufré Rudel

‘L’amor de lohn’ nei trovatori francesi

La lontananza che separa gli amanti di Magritte è il terreno fertile in cui germoglia la lirica d’amore provenzale del XII secolo. Sono i ‘trovatori’ i protagonisti di questa forma letteraria, rimatori di lingua occitanica inseriti nel contesto delle corti del sud della Francia. L’amore da essi cantato è di tipo adultero, avulso dalla mera convenzione sociale del matrimonio. La donna, ‘domna’ cioè signora, amata da questi poeti è ad essi superiore ed irraggiungibile, spesso anche a livello concretamente fisico, o in quanto reclusa in una torre o perché risiedente in terre distanti.  Questo sentimento è detto “fina amor”, cioè viene definito come ‘perfetto’ in quanto si tratta di una tensione spiccatamente sensuale destinata a non poter essere soddisfatta e, proprio in virtù di questo, fonte di elevazione interiore, di raffinamento spirituale. Il massimo esempio di questo topos dell’amor de lohn è Jaufré Rudel che oltre ad esprimerlo nella sua produzione letteraria lo incarna nella propria vita, secondo quanto espresso nella favolosa biografia narrata nella vida a lui dedicata. In uno dei suoi componimenti egli afferma infatti che il suo cuore gioisce per l’amore di una donna che non ha mai visto e che mai vedrà.

Giosuè Carducci

L’amore di Jaufré Rudel per la contessa di Tripoli rivive nei versi di Carducci

Secondo la vida di Jaufré Rudel egli era un poeta, principe di Blaia, che si era innamorato della contessa di Tripoli, Melisenda, solo per averne sentito parlare, senza mai averla vista. Per questa donna misteriosa iniziò a comporre le sue poesie sperando di poterla vedere prima o poi. Solo per lei partì per una crociata in Oriente ma lungo il viaggio si ammalò e venne portato in fin di vita in un albergo. La contessa, venuta a sapere dell’amore del giovane e delle sue disperate condizioni, accorse al suo capezzale. Egli, seppur moribondo, alla visione della donna che aveva a lungo sognato, pensato ed immaginato, recuperò per un secondo le energie vitali per potersi beare di quella cara immagine. Pago di quell’attimo di piena felicità, Jaufré esalò l’ultimo respiro fra le braccia della sua amata profondamente addolorata. Come per gli amanti di Magritte, anche per Jaufré è impossibile raggiungere a pieno l’oggetto del proprio affetto, pena il venir meno della poesia. Se lui avesse posseduto la sua donna non l’avrebbe amata così puramente, dedicandole versi raffinatissimi. Allo stesso modo se i due amanti del dipinto avessero potuto vedersi e congiungersi totalmente forse non si sarebbero desiderati così intensamente perché la loro mente avrebbe avuto modo di esaminare freddamente ciò che si trovava di fronte ad essa. La vicenda struggente di Jaufré ha ispirato il grande poeta Giosuè Carducci (1835-1907) che, nella raccolta poetica “Rime e Ritmi”, la riscrive in versi dal tono dolce e commovente:

Contessa, che è mai la vita ?
È l’ombra d’un sogno fuggente,
La favola breve è finita,
Il vero immortale è l’amor.
Aprite le braccia al dolente.
Vi aspetto al novissimo bando.
Ed or, Melisenda, accomando
A un bacio lo spirto che muor.

 

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