A quanti di voi è capitato di svegliarsi con la sensazione di aver bisogno di altre dieci ore di sonno per iniziare la giornata? O quanti, al contrario, stanno leggendo questo articolo a notte inoltrata perché costanti vittime dell’insonnia? Se fino ad oggi avete incolpato Netflix, pene amorose di ogni genere o l’eredità mitocondriale di un bradipo insita nei vostri geni forse dovrete ricredervi, perché la risposta potrebbe nascondersi in tre parole: jet lag sociale.
Ad avanzare quest’ipotesi sarebbero stati i ricercatori dell’Università australiana di Adelaide, annunciando quanto emerso dal loro ultimo studio pubblicato lunedì sulla rivista Sleep Medicine: quasi un cittadino su tre soffrirebbe infatti del cosiddetto “jet lag sociale”, un disturbo caratterizzato da uno squilibrio all’interno del ciclo sonno-veglia che rende le persone più inclini ad andare a letto tardi, a svegliarsi in uno stato di perenne stanchezza, nonché ad essere in ritardo sul posto di lavoro e presentarvisi anche in condizioni fisico-salutari non idonee. “I risultati ottenuti suggeriscono che le persone affette da jet lag sociale sono meno capaci di riconoscere i segni di una malattia ai propri danni o, piuttosto, sentono un certo grado di pressione che li spinge a lavorare nonostante non si sentano bene o siano decisamente stanche” ha chiosato Robert Adams, specialista del sonno e mente della ricerca australiana, che tra i suoi 837 soggetti australiani ha volontariamente escluso i lavoratori notturni.
Cause evidenti e danni sotterranei
Nonostante le cause di tale disturbo siano facilmente riconducibili ad una routine stressante ed un carico di lavoro fisico e mentale eccessivo, le conseguenze del jet lag sociale non si dimostrano altrettanto riconoscibili. Ad essere vittima dello squilibrio del ritmo circadiano notturno sarebbero in primis il nostro apparato digestivo, i meccanismi di termoregolazione e di riparazione cellulare e soprattutto quelli metabolici. Un precedente studio condotto per una settimana su 447 uomini e donne di età compresa tra i 30 e i 54 anni ha infatti dimostrato come lo scarto negativo tra la durata del sonno nei giorni feriali e in quelli festivi provochi una diminuzione del “colesterolo buono”, una maggior insulino-resistenza ed una predisposizione all’insorgere di obesità, diabete e malattie cardiovascolari.
Insonnia 2.0: da disturbo sociale a condizione genetica
Come confermato dalla ricerca sopracitata i meccanismi alla base dell’insonnia – e della conseguente stanchezza mattutina – sarebbero quindi prevalentemente di natura sociale e psicologica, eppure alcuni studi confermano che anche la genetica potrebbe rivestire un ruolo in questo ambito. Secondo l’indagine condotta dall’Università californiana di San Diego e pubblicato su “Molecular Psychiatry” esisterebbero infatti due specifiche mutazioni su alcuni cromosomi capaci di dare origine all’insonnia. Da quanto suggerito dai risultati dello studio, non solo l’insonnia sarebbe associata ad una mutazione genetica sul settimo cromosoma (o sul nono, per quanto riguarda le persone di discendenza europea) capace di influenzare l’incremento cerebrale, ma tale disturbo potrebbe altresì avere un legame genetico con altre patologie fisiche (come il diabete di tipo 2) o psichiche (tra cui la depressione).
Sia che si tratti di cause congenite e racchiuse nei misteriosi geni umani, sia che invece la radice di tale problema sia legata alla psiche, la mancanza di riposo nella nostra quotidianità si dimostra quindi essenziale per la maggior parte dei bisogni organici della vita “da svegli”, dimostrandoci che per quanto i nostri problemi a luce spenta ci sembrino insormontabili e ci scatenino infinite riflessioni notturne… sarebbe meglio non perderci il sonno.