Italo Calvino e Nanni Moretti ci esortano a diventare parlanti migliori e ad abbattere l’ignoranza

Lottiamo contro l’approssimazione. C’è bisogno della giusta dose di consapevolezza nell’uso del linguaggio.

La lingua italiana è così affascinante perché mette a nostra disposizione una gamma infinita di lemmi che differiscono per sfumature di significato. Talvolta però esiste solo una parola che possa regalarci la forza di un concetto.

Il valore dell’esattezza nelle “Lezioni americane” di Italo Calvino

Nella lezione sull’esattezza, tema che Calvino avrebbe dovuto affrontare nel ciclo delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures all’Università Harvard, sei conferenze scritte e confluite nelle postume “Lezioni americane”, l’autore parla di un’epidemia pestilenziale che sembra aver colpito l’umanità nell’uso della parola. Calvino sente di dover difendere il valore dell’esattezza, non solo quella relativa al linguaggio ma anche l’esattezza del disegno di un’opera e l’icasticità delle immagini che, già al suo tempo, i media proponevano ogni giorno e che spesso erano prive di significato. È una metafora quella della peste del linguaggio che si manifesta come un automatismo, che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche e anonime, eliminando del tutto l’espressività e le sfumature del pensiero e dell’immaginazione. L’inconsistenza, in realtà, è in primis nel mondo, la peste colpisce la vita delle persone e la storia delle nazioni. Quel che interessa a Calvino è trovare una via di salvezza, un modo per contrastare l’espansione di questa epidemia. Lo scrittore non individua alcun valore alternativo all’esattezza. La mancanza di esattezza è semplicemente disvalore, perdita di forma, approssimazione, entropia. L’unica difesa che Calvino riesce a concepire è nell’elaborazione dell’idea di letteratura come Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che realmente dovrebbe essere.  Giacomo Leopardi sosteneva che il linguaggio è tanto più poetico quanto più impreciso. Calvino ammirava molto il poeta del vago che definiva al tempo stesso il poeta della precisione, tanto da farne un grande elogio nel testo delle Lezioni Americane. Il vago – dice Calvino – non rappresenta un valore opposto all’esattezza, la quale deve essere elaborata in modo tale da produrre la vaghezza desiderata. In italiano infatti, il termine “vago” si associa tanto all’incerto e all’indefinito, quanto alla grazia e alla piacevolezza. La correttezza nell’uso delle parole e la nitidezza nelle immagini sono fondamentali. Possiamo affermare che la scrittura di Calvino tende a farsi visibile, proprio in quanto è straordinariamente esatta e precisa.

C’è bisogno di cura nella scelta delle parole, ce lo ricorda anche Nanni Moretti

Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” ammoniva Nanni Moretti in una scena indimenticabile tratta dal film “Palombella Rossa”, nella quale il protagonista Michele Apicella schiaffeggia e rimprovera per l’uso decisamente approssimativo di alcune forme linguistiche la giornalista impegnata a recuperare informazioni utili in tempo reale in un libretto sul PCI mentre lo stava intervistando. Il film diretto e interpretato da Nanni Moretti nel 1990, con il quale il regista si aggiudicò il Nastro d’argento per il miglior soggetto originale, racconta la storia di un deputato comunista che si ritrova senza memoria a seguito di un incidente e cerca di ricordare la sua identità durante una partita di pallanuoto, sport che aveva praticato sin da giovane. Nella realtà in cui si ritrova, il protagonista non si riconosce. L’amnesia dalla quale è colpito è metafora della mancanza di memoria storica e della crisi ideologica della sinistra italiana di quegli anni. La lotta di Michele non è solo politica ma è anche una lotta contro l’ignoranza che porta al deterioramento del linguaggio nella società e nella politica. La verità è che abbiamo un grosso problema con le parole. Nel nostro tempo la lingua viene usata in modi spesso banali, sintetici e semplificati. C’è da chiedersi se sia veramente il linguaggio a corrompere la mente o al contrario, più razionalmente e in accordo con il pensiero di Calvino, sia la mente a sabotare il linguaggio.

Perché leggere i classici

Nella raccolta di saggi “Perché leggere i classicicomprendente trentacinque scritti che spaziano da Omero ad Ovidio, da Ariosto a Voltaire, da Stendhal a Balzac, da Stevenson ad Hemingway, da Gadda a Montale, solo per citarne alcuni, Italo Calvino compie un’analisi delle caratteristiche fondamentali che elevano un’opera a classico. Calvino non poteva dirlo meglio: “I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale. Il classico è ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.” Non sempre da un classico impariamo qualcosa di nuovo, alle volte vi ritroviamo qualcosa in cui avevamo sempre creduto, ma anche questa esperienza ci sorprende e può rassicurarci. Infatti quando un classico funziona come tale stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Tale rapporto non è necessariamente positivo, può essere anche di opposizione o di contrasto. Anche se siamo fortemente in disaccordo con un autore, la nostra capacità di pensiero critico risulterà rafforzata e sarà davvero molto difficile restare indifferenti. Di un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima. Possiamo leggere o rileggere un classico in gioventù o in età adulta. Benché un libro sia rimasto lo stesso, siamo noi ad essere sicuramente cambiati, così come la prospettiva storica che ci permette di leggerli sotto una luce diversa. I classici possono rappresentare un modo per comprendere la realtà o essere la prefigurazione di quello che potrebbe accadere, nel secondo caso ci daranno sicuramente dei buoni consigli.

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