Italia 2024, distopia o realtà? Ecco perché dovremmo (ri)leggere Ray Bradbury per capirlo

Nell’allarme dei giornalisti Rai per un’informazione libera e plurale si percepisce l’eco delle più celebri narrazioni distopiche. 

Nell’ultima settimana, le piattaforme radiotelevisive sono state invase da una metanarrazione che ha visto l’informazione e l’intrattenimento intrecciarsi sempre più strettamente alla politica: dall’uscita della nuova docuserie “Il Giovane Berlusconi” alla definitiva dipartita di Amadeus come conduttore Rai, per finire con l’impietoso appello dei giornalisti Rai contro la nuova par condicio voluta dalla maggioranza di governo. Ebbene, questo accavallamento di eventi mediatici non richiama forse i quadri tracciati nelle più celebri narrazioni distopiche?

Televisione, giornalismo e censura

La televisione e il giornalismo sono strumenti cruciali nel plasmare l’opinione pubblica. I governi lo sanno molto bene, motivo per cui accade che coloro che sono a capo delle istituzioni di un Paese utilizzino il proprio potere per censurare i canali di informazione e intrattenimento e, di conseguenza, per minare la libertà di espressione, per fini politici e di controllo.

La censura televisiva può limitare la diversità delle opinioni e impedire la diffusione di notizie critiche nei confronti delle autorità. È quanto hanno denunciato i giornalisti Rai in un enunciato diventato virale su canali TV e social di tutta Italia:

La maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono. Lo ha fatto attraverso la Commissione di Vigilanza che ha approvato una norma che consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio. Non solo, Rainews24 potrà trasmettere integralmente i comizi politici, senza alcuna mediazione giornalistica, preceduti solamente da una sigla. Questa non è la nostra idea di servizio pubblico, dove al centro c’è il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti che fanno domande (anche scomode) verificano quanto viene detto, fanno notare incongruenze. Per questo gentili telespettatori vi informiamo che siamo pronti a mobilitarci per garantire a voi un’informazione indipendente, equilibrata e plurale“.

https://video.repubblica.it/politica/la-rivolta-dei-giornalisti-rai-contro-la-nuova-par-condicio-servizio-pubblico-come-megafono-del-governo/466784/467743

Appare chiaro dunque come il giornalismo, che dovrebbe essere un baluardo della libertà di stampa e dell’indipendenza editoriale, possa essere soggetto a pressioni e limitazioni, attraverso provvedimenti presi anche in maniera sottile e subdola, mirati a ostacolare coloro che cercano di riportare la verità, attraverso minacce, intimidazioni o addirittura arresti, e a influenzare la copertura mediatica attraverso la manipolazione delle notizie o la selezione tendenziosa degli argomenti, dei programmi e delle figure dello spettacolo.

Molti avranno riflettuto sugli eventi degli ultimi giorni nell’ascoltare uno scambio quasi premonitore fra Silvio Berlusconi e Mike Bongiorno poco prima dell’ascesa del capo politico di Forza Italia: “Ma non ti è mai venuto in mente di entrare in politica? Come no? […] Chissà che un pensierino ce lo fai, prima del 2000…”.

Mike Bongiorno e Silvio Berlusconi

La distopia, un genere letterario fortunato e attuale

Non esiste libro che non si prefiguri essenzialmente come ricerca della verità; pertanto, l’indagine profonda sulla condizione umana si interseca spesso a riflessioni e studi sulla società. Partendo da questo presupposto, è chiaro che le distopie, lungi dall’essere meri esercizi di fantasia e di stile, ci proiettano in scenari estremi ma plausibili, specchio inquietante delle nostre paure e riflesso dalle insidie del nostro tempo.

Sono esattamente questi fattori che troviamo alla base dei tre grandi romanzi distopici del XX secolo: “1984” di George Orwell, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley e “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury. Gli intrecci narrativi di queste opere sono accomunati da visioni spaventose ma realistiche di società controllate, manipolate e oppresse, che ci portano a problematizzare la natura del potere e le sue tendenze oscure, dunque la libertà e viceversa il controllo e la prigionia mentale in mondi non dissimili dal nostro. Anche titoli più recenti, come “Cecità” di José Saramago e “La strada” di Cormac McCarthy ci trasportano in mondi post-apocalittici dove la sopravvivenza è una lotta quotidiana, che può concludersi con una speranza di ricostruzione solo attraverso la collaborazione e la solidarietà.

Si può considerare il post-apocalittico un genere a sé stante, che ha trovato rispondenze dagli esordi della letteratura ai giorni nostri. Fra i primi esemplari di distopie possiamo citare per esempio la “Pharsalia” di Lucano, un poema epico che raffigura un impero romano corrotto e in rovina a causa delle guerre civili; o ancora, in epoca decisamente più prossima, “L’ultimo uomo” di Mary Shelley, il primo grande romanzo distopico dell’età moderna. Allargando lo sguardo alla letteratura per giovanissimi, di cui sicuramente molti di n0i hanno fruito, come possiamo dimenticare le saghe di “Divergent”, “Hunger Games” o “Maze Runner”?

“Fahrenheit 451” o “Gli anni del rogo”

“Fahrenheit 451” è un romanzo distopico di Ray Bradbury, pubblicato nel 1953. Ambientato in un futuro imprecisato, il romanzo esplora temi come la censura, il controllo delle menti e il potenziale distruttivo della tecnologia. Il titolo del romanzo fa riferimento alla temperatura a cui la carta brucia; l’immagine del libro dato alle fiamme simboleggia la distruzione della conoscenza e della libertà di pensiero.

Guy Montag è un pompiere che non spegne incendi ma li causa: il suo incarico è bruciare libri, che nella società totalitaria, al contempo cornice narrativa e “personaggio” del racconto, sono completamente banditi. Dapprima sicuro della giustezza del suo compito, Montag inizia a mettere in discussione le sue convinzioni dopo l’incontro con Clarisse, una giovane dissidente che lo spinge riflettere sul valore della conoscenza e della lettura. Gli atti di disubbidienza che Montag intraprende nei confronti dei suoi capi si intrecciano dunque con un percorso di scoperta personale e ribellione: salva i libri dalle fiamme e, denunciato alle autorità dalla moglie Mildred, una donna alienata e dipendente dai media, dà fuoco alla propria casa e uccide il suo superiore, il capitano Beatty. Divenuto un fuggitivo, Montag trova rifugio con un gruppo di fuorilegge che si dedicano alla conservazione della conoscenza tramite la memorizzazione dei libri e, mentre la città viene devastata da un attacco nucleare, si prodigano per aiutare i sopravvissuti e per costruire insieme a loro una nuova società.

La passione di Bradbury per i libri nacque in giovane età, da assiduo frequentatore delle biblioteche locali; fu sconvolto dai roghi dei libri perpetrati dal regime nazista e dalle campagne politiche di repressione di Stalin. Nondimeno, lo scrittore mostra indignazione anche nei confronti del governo del suo Paese, gli Stati Uniti, che interferisce con le arti creative, in particolar modo durante il “maccartismo” – è curiosa l’omonimia fra il senatore McCarthy e il già citato autore de “La strada”. “Fahrenheit 451” nasce dunque dal disprezzo di Bradbury per le istituzioni del suo tempo; tra l’altro, il romanzo fu pubblicato nel 1953, l’anno che vide l’inizio della Guerra Fredda e l’apice della paura dell’influenza comunista negli Stati Uniti e della minaccia atomica.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.